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  • Super Champions League ed equilibrio di Nash

    CHI DOVREBBE VINCERE LA CHAMPIONS SECONDO LA MATEMATICA Se chiedessimo a John Nash chi meriterebbe di sollevare la prossima Champions League, la sua risposta non sarebbe “la più forte”, ma “quella che massimizza l’efficienza del sistema competitivo, senza alterarne l’equilibrio”. 1. Il contesto: il gioco della Champions Consideriamo i 6 club che più influenzano l’ecosistema della Champions League: Real Madrid (RM) Manchester City (MC) Bayern Monaco (BM) Paris Saint-Germain (PSG) Inter (INT) Arsenal (ARS)   (outsider simbolica: alta crescita, nessuna Champions vinta) Le squadre evidenziate vengono prese come esempio, ma al posto del Bauern potrebbero esserci Barcelona, Milan o Liverpool, al posto dell'Inter la Juve ecc. Ogni club gioca una strategia: investire per vincere , gestire per rimanere competitivi , attendere il momento giusto . 2. Matrice strategica: payoff e posizionamento Definiamo il payoff  come: U=F⋅R/(T+1) dove: F  = Fatturato ponderato (in centinaia di milioni, logaritmato) R  = Roster rating (da 1 a 10, valutazione media ponderata Transfermarkt + UEFA) T  = Trofei Champions vinti (più hai vinto, meno “devi” vincere di nuovo) Club F (log) R T U (Payoff teorico Nash) RM 2.85 9 14 1.58 MC 2.80 10 1 14.00 BM 2.75 8 6 3.14 PSG 2.75 7 0 19.25 INT 2.50 7 3 4.38 ARS 2.55 8 0 20.40 ( Nota: F è calcolato come log base 10 del fatturato in milioni ) Interpretazione : il payoff mostra dove l’equilibrio si spezza. Se un club ha molti investimenti e nessuna vittoria , ha un incentivo molto alto a forzare la vittoria per non restare indietro. Il massimo payoff inespresso è di Arsenal, PSG e Man City. 3. Equilibrio di Nash: chi dovrebbe  vincere Un equilibrio di Nash  si verifica quando nessun club ha incentivo a cambiare strategia unilateralmente . In termini calcistici: se ogni club ottenesse risultati coerenti con il proprio investimento storico, non avrebbe ragione di cambiare strategia . Nel nostro caso, ciò significa che: Club con alta spesa e poche vittorie  devono vincere. Club con molti trofei  devono rallentare la propria corsa (Real Madrid, ad esempio). Club emergenti con ottimo roster e zero titoli (Arsenal) sono in posizione ottimale per vincere, ma romperebbero  l’equilibrio se vincessero subito due o tre volte di fila. 4. Formula di assegnazione teorica Definiamo un indice di “merito razionale” (MR)  per la vittoria, normalizzato da 0 a 1: MRi​\=∑j\=1n​Uj​Ui​ Calcolando: Club U MR (%) MC 14.00 26.1% PSG 19.25 35.8% ARS 20.40 37.9% BM 3.14 5.8% INT 4.38 8.2% RM 1.58 2.9% ( NB : Totale superiore a 100% per via di approssimazione nei decimali) 5. Razionalità vs destino Se il calcio fosse governato da Nash, Arsenal  o PSG  dovrebbero vincere la prossima Champions League. Non perché siano le migliori, ma perché devono  farlo per riequilibrare la matrice, con buona pace delle altre due semifinaliste. Il Manchester City , invece, è in debito di gloria rispetto agli investimenti: vincere una seconda Champions sarebbe un atto “giustificato” e quasi dovuto. Se inseriamo nuovi parametri e ci focalizziamo sulle quattro semifinaliste, come cambierebbero i risultati ? 📊 Dati e Calcoli: Le 2 Semifinali della Champions Per analizzare razionalmente chi ha maggiori probabilità di vittoria, esaminiamo i seguenti fattori: Fatturato , Rosa , Albo d'Oro , Momento di Forma  e Cammino in Champions League . Utilizziamo una scala da 0 a 10  per ogni variabile e calcoliamo il payoff totale  come segue: Fatturato  (F) - Su scala logaritmica per considerare le grandi disparità economiche tra i club: F=log⁡(Fatturato) Rosa  (R) - Valutazione basata sul valore della rosa dei giocatori: R=Valore totale della rosa in milioni di euro Albo d'Oro  (A) - Titoli vinti in Europa: A=Numero di vittorie in Champions League Stadio  (S) - Considerando capienza , prestigio , storia dello stadio : S=Capienza10000×Anni di costruzione Momento di Forma  (M) - Media delle prestazioni nelle ultime 10 partite (in percentuale): M=Media percentuale dei risultati nelle ultime 10 partite Cammino in Champions  (C) - Difficoltà degli avversari incontrati, normalizzata tra 0 e 10: C=Punti assegnati in base alla qualitaˋ degli avversari (vittorie, pareggi, difficoltaˋ) 📐 Dati Principali: Le 4 Semifinaliste Squadra Fatturato (log) Rosa (R) Albo d'Oro (A) Stadio (S) Momento di Forma (M) Cammino (C) Payoff PSG 10.00 10.00 0.59 8.0 8.5 8.5 8.11 Barcellona 8.55 8.5 5 9.0 7.0 8.0 7.82 Inter 7.8 8.2 3 8.5 8.0 7.8 7.58 Arsenal 6.0 8.0 0 7.5 9.0 7.5 6.78 🔄 Interpretazione dell'Equilibrio di Nash Nel contesto di un gioco a somma zero, ogni squadra cercherà di massimizzare le proprie probabilità di vittoria, tenendo conto delle forze in gioco. Qui, il PSG  emerge come la squadra con il payoff più alto grazie a un fatturato enorme, una rosa stellare e un cammino difficile. Tuttavia, il momento di forma  della squadra è un elemento decisivo: se il PSG avesse avuto un periodo di forma meno brillante, il Barcellona  o Inter  avrebbero avuto la possibilità di sopraffarlo, soprattutto considerando che la storia  e il cammino in Champions League fanno sempre la differenza in un torneo così prestigioso. ⚖️ Un Risultato Equilibrato e la Possibilità di Vincere per un Outsider Anche se il PSG ha una solida posizione, il concetto di equilibrio  suggerisce che una squadra come l' Arsenal , che non ha mai vinto la Champions, potrebbe rompere l’equilibrio storico  e portare un “nuovo” campione, creando così un cambiamento nella distribuzione delle risorse  e delle forze storiche nel calcio . 📌 Conclusioni: Chi Merita di Vincere la Champions? Se il calcio seguisse un modello razionale di gioco a somma zero , il PSG  sarebbe il club più meritevole  di vincere, data la sua straordinaria forza economica, rosa e cammino in Champions. Tuttavia, la storia  gioca un ruolo significativo: squadre come il Barcellona  o l' Inter  (che hanno una tradizione europea solida) potrebbero ancora prevalere, anche se meno favoriti. La vera sorpresa potrebbe arrivare dall’ Arsenal , che con una strategia mirata e un grande momento di forma potrebbe sfidare le probabilità e vincere il suo primo titolo. In sintesi, se si considera tutto, dal fatturato alla storia, al momento di forma, il PSG  rimane il favorito, ma il calcio, come sempre, potrebbe riservarci sorprese.

  • Prezzo dei fagiolini e medaglie d'oro

    Marcelo Bielsa, che se fosse vissuto nella Grecia dei 2500 anni fa avrebbe goduto del titolo di oracolo, lo scorso luglio ha animato una conferenza stampa prima della finale di Copa America del suo Uruguay, in un modo come al solito non banale, esprimendo un concetto ampio di “gentrificazione” del calcio, in cui il pallone è tirato sempre più lontano dai piedi e dagli occhi delle masse più povere. Per cogliere al meglio le sue parole bisognerebbe calarsi nel contesto sudamericano, governato da immense periferie, per un continente che rappresenta esso stesso una periferia del mondo, dove il calcio ha uno scopo culturale e sociale che in Europa abbiamo perso nei decenni passati. Un paio di settimane dopo, cominciano le Olimpiadi di Parigi e la stampa italiana si concentra su due temi: l’anello perduto di Tamberi e la provenienza regionale dei vari atleti, un clickbaiting così succulento da costringermi ad asciugare l’acquolina mentre scrivo.  Se per il primo ci siamo dovuti sorbire anche gli articoli e i commenti al lungo post di scuse pubbliche nei confronti della moglie dell’ex campione olimpico e drama king marchigiano, la provenienza degli atleti nasconde un disagio molto più profondo. Marcelo Bielsa CT dell'Uruguay - Twitter Da sportivo onnivoro, non guardo solamente la performance, ma divoro anche le interviste post gara di tutti gli atleti italiani e non serve un data analyst per notare che vengono quasi dal nord Italia, molti Toscani sì, romani pure, ma gli altri? Leggendo uno degli articoli di cui sopra vedo che a Parigi ci sono solo 5 calabresi, 2 lucani, solo 15 siciliani, e 25 campani, rispettivamente la quinta e terza regione più popolosa d’Italia.  La carenza di infrastrutture sportive sembra essere l’opzione più scontata per spiegare questo divario, e per moti versi è vero. La maggior parte degli impianti sportivi è situata nel Centro-Nord (quasi l’80%), mentre poco più del 20% si trovano nel Mezzogiorno. Ma quindi se al Sud costruissimo nuovi palazzetti, palestre, piscine, l’ennesimo campo di padel, risolveremmo il problema? Mh non lo so Rick Le infrastrutture sportive al sud Italia, presentano dei grandi problemi comuni, sia nel senso di “stessi problemi” sia nel senso della “gestione da parte del comune”: Progettazione non funzionale – palazzetti con limiti evidenti di design, ottimizzazione degli spazi scarsa o assente, pochi sport praticabili Management e personale non adeguato e non formato Ubicazione distaccata dal contesto urbano[1] Scarsa manutenzione-  L’8% degli impianti sportivi non è funzionante, un dato che in alcune aree del Sud sale fino al 20% del patrimonio complessivo regionale. La principale causa di non funzionamento o di funzionamento parziale è dovuta per il 44% allo stato di conservazione insufficiente delle strutture [2]. Ma se non ci sono spazi per la pratica dell’attività sportiva, in contesti regionali economicamente e socialmente depressi, quali sono gli effetti sulle persone che li abitano? Considerando che la quasi totalità dei minori nel Sud Italia (circa il 90,6%) pratica sport in impianti sportivi, con quote residuali per la pratica all’aria aperta (7,8%) e a casa (1,6%), ne consegue il 31,35%nella fascia tra i 6 e i 17 anni è in sovrappeso [3]. L’obesità nei bambini europei è strettamente correlata allo status socio-economico dei loro genitori. Inoltre, nei paesi europei, più è elevato il livello di disuguaglianza di reddito e più i bambini sono in sovrappeso. Nei gruppi socio-economicamente svantaggiati, le madri hanno più probabilità di essere in sovrappeso e meno probabilità di allattare. I bambini che non sono allattati e che sono nati da madri obese, con un basso status socio-economico, hanno più probabilità di adottare abitudini alimentari non salutari e di diventare individui in sovrappeso. Inoltre, se in questi bambini si manifestasse un ritardo nello sviluppo cognitivo entro i 3 anni di vita, le probabilità di recupero sarebbero molto basse. É evidente che l’obesità è sempre più correlata alla povertà e che questo problema, verosimilmente, sarà trasmesso alle generazioni successive. La maggior parte degli studi considera l’eccessivo consumo di alimenti ad alto apporto calorico la causa principale di questo problema. I dati sull’attività fisica indicano che, sebbene i livelli siano diminuiti, è inverosimile che il minor dispendio energetico giustifichi da solo il drammatico aumento dell’obesità nelle classi sociali meno abbienti. Il cibo salutare tende a essere meno conveniente, meno accessibile e più costoso. I cambiamenti socio-demografici - come l’urbanizzazione e l’aumento del numero di donne che lavora - hanno ridotto il tempo da dedicare alla preparazione dei pasti. Analisi condotte nel Regno Unito spiegano come - quando, nel 2007, si è assistito a un incremento massiccio del 12% dei prezzi dei prodotti alimentari nell’arco di 12 mesi - le famiglie a basso reddito siano state colpite in modo sproporzionato da un aumento dell’1,6% della spesa per l’acquisto di alimenti, a fronte di un aumento medio dello 0,3%. I dati suggeriscono, inoltre, che le famiglie a basso reddito hanno risposto a questo aumento con l’acquisto di alimenti ‘alternativi’ più economici. Un altro studio ha riscontrato che molte famiglie con bambini e monoparentali stanno sostituendo la frutta e la verdura fresca con alimenti confezionati meno costosi, ma ipercalorici, con dosi elevate di grassi saturi e zucchero. Tra il 2007 e il 2012 il costo del cibo è aumentato del 30% e le famiglie con bambini hanno ridotto il budget destinato alla spesa alimentare di oltre il 15%. Gli alimenti con valore energetico elevato, ma con valore nutritivo scarso, sono più economici dei cibi più nutrienti, come la frutta e la verdura; e le famiglie più povere, e con bambini, acquistano cibo essenzialmente per nutrirsi [4]. La situazione italiana a questo punto appare chiara: Okkio alla Salute - Sport e Salute 2023 Pensando alla correlazione tra disturbi dell’alimentazione e istruzione, mi sono chiesto quale fosse la situazione regione per regione delle biblioteche italiane.  Nel relativo report ISTAT, osservando in particolare l’indice di impatto, definito dal rapporto tra iscritti al prestito sul totale della popolazione di riferimento, che esprime il livello di radicamento delle biblioteche sul territorio e la loro capacità di soddisfare i bisogni di informazione e lettura dei cittadini. Pari al 15,2% a livello nazionale, raggiunge valori molto alti soprattutto nelle Province di Trento e Bolzano (rispettivamente 35,7% e 24,5%), in Valle d’Aosta (28,2%), Toscana (25,1%), Emilia-Romagna (21,6%) e in Friuli-Venezia Giulia (20,5%). L’impatto delle biblioteche è decisamente minore nella maggior parte delle regioni del Mezzogiorno: Campania (4,6%), Calabria (6%), Sicilia (6,2%), Molise (6,9%) e Puglia (8,7%) mostrano infatti valori molto al di sotto della media italiana[5] E guardando il grafico sotto ci rendiamo conto quanto in maniera inversamente proporzionale, sia sovrapponibile al precedente. Report ISTAT biblioteche in Italia Questi due grafici ci dicono quindi che le infrastrutture sportive sono prioritarie per i giovani atleti di oggi, ma le attività nelle scuole, biblioteche e altri centri di cultura lo sono molto di più, non solo per formare i ragazzi e gli atleti, ma per fornire loro un’istruzione e una formazione adeguata da trasmettere ai propri figli, cioè alla prossima generazione di atleti. Naturalmente grandi investimenti su istruzione, cultura e accesso allo sport sono propedeutici, non per ottenere medaglie olimpiche, atleti olimpici o atleti professionisti in generale, ma semplicemente per avere il maggior numero possibile di bambini in salute. Ma forse è più facile vincere un'oro olimpico che pagare un kg di fagiolini meno di un Big Mac. [1] UISP, Svimez, Sport e Salute - L’OFFERTA DI IMPIANTI E SERVIZI SPORTIVI NELLE REGIONI ITALIANE FABBISOGNI DELLA PRATICA SPORTIVA [2]  Rapporto Sport 2023 – Istituto Credito Sportivo [3] UISP, Svimez, Sport e Salute - L’OFFERTA DI IMPIANTI E SERVIZI SPORTIVI NELLE REGIONI ITALIANE FABBISOGNI DELLA PRATICA SPORTIVA [4]  World health organization - Obesità e disuguaglianze Guida per affrontare le disuguaglianze nei casi di sovrappeso e di obesità. [5]  Istat – Le biblioteche in Italia 2019

  • Il diavolo veste Puma

    La maglia da calcio sta vivendo la sua golden age, e se già da tempo ha demolito il fragile steccato sportivo, il fenomeno bloke core ha compiuto il suo percorso da nicchia a mainstream e oggi indossare una maglia da calcio per uscire non è più soltanto un affaire adolescenziale, ma elemento trasversale ed essenziale dello streetwear contemporaneo.  I maggiori club europei fanno a gara per far indossare ai maggiori rapper e tiktoker (sigh) internazionali i loro kit gara, o ancora meglio i third kit e perché no, anche qualche pezzo vintage. Per cui non dobbiamo stupirci se incappiamo ripetutamente nel video dell’arresto di Asap Rocky con indosso la 12 di Chimenti, anzi ringraziamo il Signore per aver reso più interessante il nostro doomscrolling quotidiano. A proposito di Juve, la lista di rapper e popstar che ne  hanno indossato la maglia ultimamente è praticamente la Top 50 Billboard della decade 2010-2020. Guardando indietro, oltre alla fatidica maglia di Sforza di “Tre uomini e una gamba”,  già ne “I Soprano”, abbiamo visto comparse con la tuta della Juve (ai tempi Kappa, ci torneremo), Pussy Bonpensiero con quella di un Napoli che ai tempi navigava a metà classifica in serie B,  per non parlare di un Chris Moltisanti con la jersey della Lazio di Eriksson. Brevi frame senza significato narrativo ma che risaltano perché per la prima volta vediamo in tv abbigliamento sportivo relativo al calcio italiano, fuori da una partita. Per la prima volta dagli anni ’90 intravediamo la possibilità di toglierci la canotta dei Bulls e indossare la 9 di Ronaldo sempre che ne sia rimasta una. Chris Moltisanti con maglia Lazio 00/01 senza sponsor Tralasciando le amenità di costume, quali sono oggi le sorti dei kit gara? Come prima cosa rendiamoci conto di dove siamo, cioè nel centro del vortice di una rincorsa convulsa all’upgrade - simile a quello degli smartphone – per la nuova maglia:  tranquillo, questo non è uno di quegli articoli sul calcio “romantico” di una volta. Ma ci serve capire quanti kit sforna ogni anno la nostra squadra del cuore, solitamente 3, ma a volte anche 4 e quando lo fa? È interessante vedere in atto un diverso timing proprio da questa stagione, infatti se negli anni passati la nuova maglia veniva presentata già nelle ultimi giornate della stagione precedente, quest’anno abbiamo aspettato gli albori di luglio per vedere la presentazione ufficiale dell’uniforme spoilerata a Dicembre da footyheadlines. Con i kit secondari a seguire nelle settimane successive, a ridosso dell’inizio delle competizioni. La texture della camiseta blanca 24/25 Ma come sono fatte queste maglie? Anche qui un macro trend, che negli anni passati avremmo odiato: le texture. Ciò che separa un kit base in vendita alla Decathlon a 20€ da un kit replica da 100€. Una parte degli anni’90 che non avremmo voluto riesumare, anzi che abbiamo odiato e rinnegato, per riaccoglierla a braccia aperte, senza per forza essercene innamorati. E la spiegazione può essere imputabile all’identità dei club, infatti in un panorama calcistico in cui non solo i calciatori, ma i club stessi passano di mano con una facilità mai vista, i tifosi cercano appiglio ad una identità a rischio nell’elemento che la racchiude maggiormente, cioè la maglia. Tutti i tifosi vogliono un home kit che sia quanto più possibile fedele alla storia del club, e in quest’ottica, se lo sponsor tecnico ha meno gioco dal punto di vista cromatico, fornisce fattori distintivi agendo su dettagli e trama del tessuto. Certo, ogni brand è diverso dall’altro e ognuno offre soluzioni proprie, ed ecco che se da un lato Adidas va per una maggiore standardizzazione dei modelli ( ad Euro 2024 abbiamo visto lo stesso kit traslato nelle tinte delle varie  nazionali), altri marchi optano per una personalizzazione maniacale, come Robe di Kappa, che ha sfornato le maglie più belle ed originali degli ultimi anni, seppur lavorando sempre sul telaio del modello Kombat, coniugandolo ai singoli progetti per cui lavora, evidenziandone lo sforzo creativo applicato per realizzare il concept. Palace x Adidas x Juventus 2019/20 Caso a parte, ma di rilevanza crescente, è rappresentato dalle partnership, di solito applicata a 3rd o 4th kit, se non addirittura a single shots, come la prima e forse più clamorosa, quella Adidas/Palace per Juventus, indossata il 31 Ottobre 2019. Da allora ne abbiamo viste parecchie, più o meno apprezzabili, spesso vendute sul modello dei drop dei marchi di streetwear, basandosi quindi su un forte hype pre-lancio e contemporanea scarsità di offerta (Pleasures x Puma x Milan), per stimolare una maggiore domanda e avere un lancio sold-out in pochi minuti, che lascerà scontenti molti, ma fa così figo. Per restare in ambito street wear, il Venezia, che negli anni passati ha goduto di alcuni meravigliosi kit, da poche settimane veste Nocta, il sub-brand Nike gestito da Drake, che oltre a fornire le maglie più cool della serie A, ha il merito di aver salvato il club dal crack finanziario. Ma se questa è una sponsorizzazione tecnica, la partnership di gran lunga più interessante per la stagione 24-25 viene dalla serie C ed è quella tra Slam Jam, che ha disegnato un kit di rara eleganza per Spal, realizzato da Macron: Made in Italy al cubo. Slam Jam x Macron x Spal 24/25

  • L'agenzia che sta cambiando il calcio latino

    A Dicembre 2024 sono state annunciate le nazioni che ospiteranno le prossime edizioni dei Mondiali di calcio, nel 2034 si torna in medio oriente, dopo l’edizione qatariota, e sarà la prima volta per l’Arabia Saudita, che preannuncia stadi dritti da un futuro che appare più lontano di una decade. Quattro anni prima invece nel 2030, ci sarà un’edizione a ridosso dell’Atlante, con i 3 Paesi ospitanti che saranno Spagna, Portogallo e Marocco. Alcune partite però si giocheranno in Sud America, per celebrare i 100 anni dalla prima edizione del mondiale, tenutasi in Uruguay nel 1930, e vinta proprio dai padroni di casa. Nella short list degli stadi candidati ad ospitare l’evento ci sono tra gli altri:  Camp Nou di Barcelona, San Mames di Bilbao, Nueva Romareda di Saragozza e il mas Monumental di Buenos Aires, casa del River. Cos’hanno in comune questi stadi? Sono stati costruiti/restaurati dallo stesso studio : IDOM La situazione deli stadi spagnoli (a parte poche grandi eccezioni), e sudamericani era totalmente assimilabile a quelli italiani: impianti datati, inadatti alle esigenze moderne, di proprietà pubblica in uso ai club. Ma una burocrazia meno stringente, nuovi accordi commerciali, un piano di investimenti e il traino delle squadre maggiori, sta permettendo a molte realtà spagnole di dotarsi di una nuova casa, pronta alle sfide dei prossimi anni. E infatti non solo si è aggiudicata il mondiale, ma gli stadi sono già pronti.   Monumental – Buenos Aires Lo storico stadio del River Plate ha venduto i naming rights ad una società di commercio elettronico che si chiama Mas, e quindi ora il nome esteso dello stadio è Mas Monumental, davvero perfetto per indicarne la riqualificazione. La restaurazione di un monumento del calcio mondiale ha comportato il rispetto di una tradizione che non ha permesso di stravolgerne le linee né il perimetro. Una delle difficoltà maggiori è stata quella di abbassare il livello del campo, affinché si potessero costruire le nuove tribune che sorgono sullo spazio una volta occupato da una pressoché inutilizzata pista di atletica che, come nel caso di molti impianti italiani, non faceva altro che allontanare il pubblico dal campo. Queste sole modifiche hanno permesso di ampliare la capacità dello stadio, migliorandone la fruibilità, avvicinare i tifosi al campo e ricavare lo spazio e nelle tribune centrali per la costruzione di nuovi luxury boxes, per una esperienza premium degli eventi. Inoltre sono stati sostituiti tutti i seggiolini, mentre le nuove curve ne sono completamente prive, trattandosi infatti di safe standings zones, nelle quali si tifa in piedi. Argomento molto dibattuto anche in UEFA, sul quale torneremo sui prossimi articoli. San Mames – Bilbao La posizione del nuovo stadio di San Mames, all'estremità della maglia urbana del quartiere di espansione di Bilbao, che guarda verso l'estuario, trasforma l'edificio in un'architettura che deve mostrarsi con forza e categoricità, ma allo stesso tempo rispettare il resto degli edifici che compongono quella zona della città. Il progetto offre un valore aggiunto alle aree di circolazione, contribuendo a conferire qualità spaziali e collegandole in modo intenso alla città e ai dintorni. Questa connessione è materializzata dall'introduzione di grandi finestre incorniciate in rosso. Una di queste include lo stemma del club, che è proiettato con tecnologia LED. Allo stesso modo, i pannelli in ETFE che compongono la facciata cambiano il loro colore bianco per qualsiasi combinazione immaginabile di forme e colori. Il design del nuovo stadio, con una capienza di 53.332 spettatori, soddisfa i requisiti di uno stadio di "categoria Elite", la classificazione più alta secondo gli standard UEFA. Il complesso ha usi complementari come un museo, un'area commerciale, ristoranti, caffetterie, sale per eventi e sale riunioni e conferenze.   Estadio de la Ceramica – Villarreal Il Villarreal ha deciso di intraprendere la ristrutturazione definitiva del suo stadio La Cerámica, conferendogli unità architettonica, migliorando l'esperienza dei tifosi, creando un'atmosfera calcistica incomparabile, dotandolo delle più moderne infrastrutture per la trasmissione televisiva e, al contempo, integrando la struttura nell'ambiente urbano circostante in modo più sostenibile e rispettoso dell'ambiente. In quest'ottica, il progetto prevede una serie di azioni diverse che, tutte insieme, consentiranno di raggiungere l'unità desiderata: Da un lato, vengono demoliti gli edifici annessi nell'angolo sud-orientale, consentendo così il completamento completo della conca. Le coperture non collegate delle tribune sud, nord e preferenziali vengono rimosse per consentire la posa di una nuova copertura continua sul 100% delle tribune, conferendo unità all'immagine generale dell'edificio.Il nuovo tetto ospiterà tutte le ultime infrastrutture necessarie per le trasmissioni televisive, con due grandi tabelloni video, nuova illuminazione 4K per sport e scenografie, spettacolare sistema di diffusione sonora e sky-cam. Sulla tribuna nord, questo tetto è sostenuto da una grande capriata metallica che diventa una delle immagini importanti del nuovo stadio. Tutti i posti a sedere sulle tribune sono stati rinnovati.Vengono creati nuovi spazi interni, una sala polivalente sulla sommità della porta sud con vista sul campo e sulla piazza esterna, uno dei due ristoranti viene ristrutturato e vengono creati nuovi spazi per la sede del Museo del Club. Infine, per l'intero stadio è prevista una nuova facciata in ceramica gialla e una nuova illuminazione, in linea con la nuova immagine architettonica generale e unitaria.   Nueva Romareda – Zaragoza ll progetto dello stadio è stato recentemente completato e la costruzione dovrebbe iniziare nel 2025, in modo che possa ospitare la FIFA 2030, con una capienza di 42.500 spettatori, per i quali si vuole creare la migliore esperienza possibile, mantenendo il suo carattere di stadio prettamente urbano, ai lati dei quali scorrono i due corsi principali della città di Saragozza. La location è un elemento fondamentale per questo impianto, infatti nella zona in cui si trova, data la depressione e la valle dell'Ebro, si crea uno dei venti predominanti della penisola, il vento " cierzo ". Il progetto di rinnovamento ha voluto tenere conto di questi delineando uno stadio aerodinamico, che si adatta ai flussi di questo vento, e quindi lo stadio e il tetto, vengono modellati come elementi fluidi e dinamici. Lo stadio possiede forme concave nelle aree nord e sud del volume, dando maggiore ampiezza allo spazio urbano, e forme convesse nelle aree est e ovest, mostrando la piazza Eduardo Ibarra e il Paseo de Isabel la Católica, come afferma César Azcárate, Sports&Events director presso IDOM. La presenza del Parque Grande José Antonio Labordeta e della Plaza Eduardo Ibarra è accentuata dalla colonizzazione della vegetazione nel vuoto urbano tra il parco e La Nueva Romareda, rafforzandone la connessione. Stadio, piazza e parco si fondono, creando spazi fruibili non solo per lo stadio ma anche per la città. La compattezza del volume e l'uniformità della facciata sono stati fondamentali per la realizzazione del nuovo stadio, data la varietà di usi che ospiterà. La copertura è vista come un elemento leggero e dinamico e, allo stesso tempo, genera protezione a ovest e viste a est, avvolge la totalità della superficie delle tribune, estendendosi verso l'esterno fino al perimetro dell’edificio creando una passeggiata a 360º da cui si possono apprezzare allo stesso tempo viste straordinarie della città e dell'interno dello stadio. Ciò che di giorno è una facciata serena e riposante, di notte diventa un elemento vibrante e dinamico. La luce colpisce la doppia calotta e il tetto e porta all'esterno ciò che accade all'interno.. La tribuna è concepita come il cuore dello stadio, e dopo molte iterazioni geometriche, è stata progettata una bowl che si adattasse alla struttura, il più compatta e vicina possibile al campo di gioco, per generare la pressione dei tifosi durante la partita. Le tribune comprendono aree per il pubblico di prim'ordine, palchi VIP e palchi presidenziali, oltre ad un Pitch Club con vista sul tunnel dei giocatori Camp Nou  - Barcelona il team di progettazione formato da IDOM e b720, in collaborazione con Nikken Sekkei, vincitore del concorso del 2016, ha realizzato un'ambiziosa revisione architettonica del progetto per rafforzare l'identità blaugrana, il rapporto con la tradizione e l'architettura catalana e la riorganizzazione degli spazi interni per migliorare il comfort, l'accessibilità e la sicurezza degli spettatori, aumentando al contempo il potenziale economico e riducendo al minimo le ricadute sui soci e sugli associati.La ristrutturazione completa del Camp Nou lo renderà lo stadio più grande d'Europa, con una capienza di 105.000 spettatori. Il progetto si distingue per la conservazione della struttura del 1957 delle due tribune, la costruzione di una nuova struttura per ospitare la terza tribuna, un doppio livello di aree di ospitalità e una copertura su tutta la capienza dei posti a sedere. La revisione approfondita del progetto ha reso possibile sviluppare il concetto di tre grandi terrazze aperte a Barcellona e al clima mediterraneo, migliorando allo stesso tempo funzionalità e accessibilità, con una spianata interna per gli spettatori al primo livello, una grande piattaforma di osservazione superiore e una nuova area di accoglienza che accoglierà i visitatori del Museo del Barça e del Camp Nou Tour e integrerà una varietà di attività. La sostenibilità è diventata il DNA dello stadio, sottolineando il suo impegno nel promuovere una mobilità sostenibile facilitando l'accesso allo stadio con i mezzi pubblici e promuovendo la mobilità elettrica. Allo stesso modo, il risparmio energetico e l'efficienza saranno raggiunti attraverso l'installazione di 18.000 m2 di pannelli fotovoltaici sul nuovo tetto, che genereranno abbastanza elettricità per alimentare 600 case nel quartiere Eixample, e l'uso di energia verde immagazzinata nel terreno per ridurre i consumi di riscaldamento e raffreddamento. Inoltre, saranno installati un sistema geotermico e un sistema di teleriscaldamento e raffreddamento, riducendo i consumi energetici del 30%, e l'acqua piovana raccolta dal tetto sarà riutilizzata per irrigare tutta la vegetazione del futuro campus 10 volte l'anno. In termini di biodiversità, la fauna autoctona è già protetta e la copertura forestale del campus è stata aumentata del 15%. In termini di tecnologia, il futuro Camp Nou incorporerà tecnologie all'avanguardia, come uno schermo a 360º all'interno della "conca", che offrirà una nuova esperienza al pubblico. Anche il sistema di sicurezza e di controllo degli accessi dei veicoli sarà migliorato e le possibilità offerte dalla connettività 5G saranno sfruttate al massimo.

  • Kobe, la legacy

    Dopo 5 anni da quell'incredibile tragedia che ci ha strappato il cuore dal petto, siamo ancora lì a ripensarci in maniera sgomenta. C'è chi ancora non riesce a guardare altro materiale se non i soliti highlights proposti dallo scrolling quotidiano (che ci danno l'impressioneche sia ancora qui tra noi). Niente documentari, niente tributi, niente interviste, niente di niente dal giorno del funerale (oddio). Un'elaborazione del lutto lentissima, chissà perché poi, forse dovremmo seguire il consiglio di Baricco e imparare a lasciar andare, semplicemente. Lasciamo andare le aspettative che ci eravamo fatti per la vita di una persona che, soprattutto in Italia, abbiamo seguito dalla culla alla gloria. Tralasciando tutto ciò che già sappiamo e abbiamo sentito del suo gioco, il suo carattere, Shaq ecc. Ecc. Parliamo della legacy di Kobe, e della possibilità di estrapolare veramente un messaggio dall'esistenza di questo atleta tanto iconico. Dal 26 gennaio 2020 pare che tutta la complessità della figura di Kobe Bryant, si possa tranquillamente esprimere con l'espressione Mamba Mentality. Diventato così inflazionato da perdere parte della sua carica, probabilmente per la sua immediatezza e la sua efficacia nell'andare oltre il semplice nome e cognome, nel riassumere i tratti salienti del suo profilo. Assistiamo passivamente ad una graduale strumentalizzazione, un marketing esasperante e una conseguente semplificazione della figura di Bryant, che non gli rende giustizia e che storpia il concetto originale esposto e approfondito nell'omonimo libro del 2018. Non è raro vedere qualche pigro influencer sovrappeso che ti parla di mamba mentality dopo aver giocato a qualche videogame per 2/3 notti nell'ulltima setttimana. Gente a cui Kobe non avrebbe mai passato la palla, da cui si sarebbe fatto odiare; ma per lui essere un leader significa essere all'occorrenza cattivo, ed esserlo da solo. Come giustamente detto nella nostra intervista col fondatore de La giornata tipo, se vogliamo parlare di Mamba Mentality ad un giovane cestista, non possiamo dirgli che l'unico modo per diventare un professionista sia alzarsi alle 3 del mattino e fare 5000 tiri entro le 8 per 25 anni. Non è un modello perseguibile nemmeno per chi è già un professionista e non ha un certo talento o certe caratteristiche fisiche, combo rarissima. Sicuramente possiamo ricavare e trasmettere un insegnamento sull'auto disciplina e sul miglioramento personale, correlati ad una sana ambizione, fattori che ci possono aiutare a raggiungere i propri obiettivi personali. Ma forse il miglior insegnamento lasciatoci in eredità, prima che Nike lo trasformasse in mamba, viene da uno spot Adidas di fine anni 90. Un Kobe 18enne, rookie dei Lakers, scacciava dei mostri che rappresentavano le critiche piovutegli addosso all'inizio della sua carriera, sul fatto che fosse troppo giovane, troppo presuntuoso, inadeguato per quel livello, arrivato in NBA troppo acerbo perché preso direttamente dalla high school, senza passare dal college. Lui mette tutti a tacere segnando un canestro e recitando in italiano uno slogan che vale una carriera: "se non credi in te stesso, chi ci crederà?" Concetto che punta sulla consapevolezza di sé stessi, sulla convinzione dei propri mezzi e del proprio lavoro. Parole che hanno la forza del mantra da ripetersi nei giorni in cui il sole non è luminoso come quello di Reggio Calabria o di Los Angeles.

  • The house that Henk built

    Intervista a Henk Markerink, la mente poliedrica che per 30 anni ha diretto la Johan Crujiff Arena di Amsterdam Seconda intervista di Pravda Deportiva, anche questa fatta durante un bel lunedì mattina, in call, c’è il sole anche sull’altro riquadro di Teams, dal quale mi saluta con calore Henk Markerink, l’uomo che dal 1991 al 2021, ha diretto la Johan Crujff Arena, uno degli stadi più funzionali e moderni del pianeta, casa dell'Ajax. Mi saluta chiedendomi se fossi a Milano, gli rispondo che io vivo in Calabria e dal terrazzo del mio ufficio vedo una distesa di campi, seguiti da un mare celeste e l’Etna sullo sfondo. Ed ecco che entriamo subito nel vivo, infatti risponde così: Non sono mai stato in Calabria, ma voglio assolutamente andarci, anche perché sto leggendo molte cose sulla filosofia antica e quella parte di mondo ha avuto veramente un ruolo importante. Sai, la filosofia mi è sempre piaciuta,  e visto che vivo tra Istanbul e Amsterdam, perché mia moglie è di Istanbul, mi confronto automaticamente e quotidianamente con la filosofia greca. Di recente sono stato anche dieci giorni in Sri Lanka, che è molto simile all'India, anche se è un posto principalmente buddista, ma le influenze indù sono molteplici e ci sono ovviamente anche comunità di cattolici, protestanti e musulmani. Trovo interessante che vivano in pace insieme, infattinon ho notato alcun tipo di animosità tra loro. Qual è la tua occupazione principale al momento? Sono il presidente dello Sportstad a Heerenven, un centro sportivo multifunzionale, dove lo stadio è solo una parte di un complesso che comprende piscina, centri sportivi, una palestra e  anche un ospedale. La capienza dello stadio è di circa 30.000 posti, e la squadra è sempre a metà classifica nella Eredivisie. Ma questa realtà è un esempio di come uno stadio dovrebbe essere composto e di quanto possa essere il centro di una società, perché in fondo si tratta di una piccola cittadella, con il suo micro-cosmo. Tutti sfruttano questo edificio: se ci vai la mattina trovi gli anziani che vanno a nuotare, i giovani vanno in palestra, altri frequentano un'accademia sportiva. Quindi questo edificio è sempre vivo. Ne sono il presidente, e sono anche nel consiglio di una grande società immobiliare di Amsterdam, che gestisce beni per un valore stimato di circa un miliardo di euro. E poi ho un paio di altre cose nel museo e nell’ambito dei beni culturali. Per la Johann Crujff Arena, ogni tanto mi chiamano per  qualche consiglio, ma non ho più un ruolo ufficiale. Però l'ho fatto per circa trent'anni. E per questo sei un parte della storia del calcio europeo. Cosa ne pensi? Non proprio, ma va bene. Al momento sto cercando di scrivere un libro sul mio percorso. Ho iniziato come consulente nel progetto nel 1991, e sono andato in pensione nel 2022. Quindi sono circa trent'anni di coinvolgimento. E devo dire che, quando scrivi questa roba e guardi la storia che ti circonda, pensi “siamo stati i precursori in questo campo”. In questo senso, abbiamo fatto un nuovo passo nella storia, ma non lo vedo solo come una mia cosa personale. Era un'intera divisione del club. Era la visione della città, e della sua classe dirigente, quindi, quando guardo indietro, mi sento molto privilegiato per aver potuto guidare l'intero processo. Abbiamo fatto molte cose che non erano mai state fatte prima, e quando fai cose nuove c'è anche il rischio che le cose vadano male: come l'erba che era un problema all'inizio, e l'acustica, la logistica; ragazzi, la logistica di uno stadio multifunzionale è qualcosa di molto diverso rispetto ad un tradizionale stadio per il calcio. Quindi abbiamo avuto un sacco di, come diciamo noi “malattie infantili”, che abbiamo risolto crescendo. Sinceramente sono molto orgoglioso di ciò che vedo ora. Questo è tutto, ma non è che rivendichi un posto nei libri di storia. Era tutto nuovo ogni giorno, c’era  il calcio, ma anche i concerti, e le strutture, l'ampliamento dell'edificio e la sua innovazione. Abbiamo investito 100 milioni € in dieci anni, eravamo sempre in azione, e avevamo i soldi. In un certo senso sei stato fortunato, perché il 1995 è stato il primo anno dell'ex Amsterdam Arena ed è stato anche l'anno in cui l'Ajax ha vinto la Champions League. Non si può sperare in un inizio migliore. Sì. Bisogna avere fortuna nella vita. A volte ci sono persone che sono sempre sfortunate e ci sono persone accompagnate dalla buona sorte. E in questo senso,  ci sono state delle circostanze molto fortunate durante la costruzione, perché ad un certo punto c'era effettivamente una mancanza di denaro per finanziare il progetto, ma abbiamo inventato un modello di partecipazione azionaria  in cui altri attori  potevano partecipare finanziariamente. Poi l'Ajax vinse la Coppa UEFA nel 1993, la Coppa dei Campioni nel 1995a Vienna contro il Milan, e poi nel 1996 giocò di nuovo la finale a Roma contro la Juventus. In quella fase di splendore, le persone dissero "vogliamo partecipare al nuovo stadio", quindi tutti comprarono azioni e fu un successo fantastico. Se non si fossero verificate queste congiunture, probabilmente non avremmo mai raccolto così tanto capitale azionario. Quindi fu un fattore fortunato. Inoltre, chiunque tu sia, qualsiasi idea o progetto tu abbia, è sempre importante avere una buona squadra con te, non puoi sopravvivere solo con qualche concerto e, ogni tanto, una partita nazionale. Una cosa che mi ha davvero impressionato è stato studiare il modello di ownership della Johan Cruijff Arena. Ci hai spiegato che il proprietario è una società, i cui azionisti principali sono Ajax e Città di Amsterdam. Ma ci sono anche altri investitori, credi che questo modello possa essere esportato? Oh, sì, assolutamente. E sono ancora sorpreso che questo modello non sia stato copiato di più, perché è una modalità molto solida di finanziare un edificio così costoso. E abbiamo fondato una società di consulenza con la quale mi sono occupato di circa 30/35 progetti in tutto il mondo, dalla Cina, al Brasile, al Qatar e a Mosca e ovunque la domanda è ovviamente "ok, lo stadio costa 500 milioni di euro, dove prendiamo i soldi?" Questa è sempre la prima questione. Bene, in alcuni Paesi lo stato è predominante, e in quel caso pagano loro, così come nei casi in cui il tuo committente è un club molto ricco. Ma nella totalità degli altri casi, non ci sono mai abbastanza soldi. E questo modello, in cui contatti la società e il mondo degli affari, e tutti acquistano una quota dello stadio e poi gli dai qualcosa in cambio, come biglietti gratuiti o altro, è una forma di crowdfunding sociale che di per sé , è un sistema molto logico e adatto alle esigenze contemporanee. Pensi che possa essere adottato anche dai club più piccoli e in piccole città? Sì certo, anche essere in terza serie, può essere applicato a tutti i livelli. L'importante è che anche la città partecipi perché lo stadio è sempre qualcosa di pubblico/privato. Quindi devi dare il tuo contributo dalla città, al mondo degli affari, i cittadini e ovviamente ai tifosi. Oggi in Italia c'è una situazione in cui ogni stadio resta aperto due giorni al mese, giusto per le partite in casa. Secondo la tua esperienza, perché sembra che non venga capito che uno stadio debba restare aperto , tipo per 20 giorni al mese? Non capisco neanche questo. Sono stato consulente in Italia insieme ad Andrea Santini. Un nostro frontman in Italia. Quindi abbiamo fatto un piano molto carino per Venezia, ed eravamo in contatto con l'Inter, con la Roma, e il Napoli. Voglio dire, avevamo contatti con diversi club, e siamo sempre partiti dall'idea di multifunzionalità. In queste grandi città, c'è anche un grande mercato per concerti e intrattenimento, ma ugualmente non si fanno progressi in quel senso. Penso che abbia a che fare con la mentalità del calcio, perché è così egocentrico, pensano solo a se stessi e alla prossima partita. Ma non sono in grado di vedere il momento. Dicono "se c'è un concerto, l'erba viene danneggiata ", c'è una specie di mantra in cui il calcio deve essere il centro,  e non c’è spazio per la condivisione. Mentre se si guarda davvero al business, è una cosa molto logica dire, soprattutto nelle grandi città, che lo stadio è per tutti i grandi eventi e grandi concerti ecc: l'Ajax era solo il 50% del nostro business, l'altra metà proveniva da grandi eventi, quindi finanziariamente è così. D'altra parte, al momento ci sono talmente tanti soldi nel calcio che i grandi club dicono  "beh, non abbiamo bisogno di questi milioni in più perché siamo abbastanza ricchi. Il nostro fatturato è già di 500 milioni, cosa sono 2 milioni in più”. Quindi, il calcio è diventato anche un po’ arrogante in questo senso. È strano perché, soprattutto nelle città medie o piccole, lo stadio è la più grande infrastruttura della città. Allora perché non usarlo tutti i giorni? Perché devi costruire un edificio gigante e poi tenerlo chiuso? Allo stesso tempo, vedi anche che il mondo dei concerti che era più amatoriale, diciamo trent'anni fa, poi è diventato molto professionale con pochissimi grandi promotori come i ragazzi negli Stati Uniti. Certo, uno stadio multifunzionale ha sempre molti compromessi, voglio dire non è la soluzione per tutto, hai bisogno di un tetto in realtà, quando piove devi drenarlo perché l'acustica deve essere perfetta, la logistica è diversa. Quindi fare qualcosa in uno stadio a volte è difficile. Infatti molti grandi organizzatori, preferiscono fare grandi concerti in un parco, dove possono mettere centinaia di migliaia di persone, con un palco e tutte le strutture temporanee, il che è spesso più economico dal punto di vista commerciale, che andare allo stadio. Nel frattempo i big promoter, stanno anche investendo molto in strutture tutte per sé,  prevedo uno sviluppo tra vent'anni, in cui Life Nation e questo tipo di grandi player,  costruiranno alcune grandi strutture coperte, dove Taylor Swift si esibirà trenta, quaranta volte, e se vuoi vederla, devi prendere l'aereo e andare a Milano o Berlino o Londra. Questo potrebbe accadere in futuro, e i grandi artisti non saranno più interessati agli stadi, svilupperanno semplicemente i loro edifici. A proposito dei voli di Taylor Swift: ieri sera c'è stato il Super Bowl, migliaia di VIP, politici, persino Trump, cantanti, attori, sono andati tutti lì giusto per la partita, ripartendo subito dopo, ognuno praticamente con un volo diverso.   Sì. Questo è un grande conflitto in realtà per tutti i grandi eventi in cui c’è quella mole di traffico. Quando i Rolling Stones arrivano allo stadio, solo per la loro struttura portano decine di camion per audio, luci e palco, poi c’è tutto il resto e quindi il  movimento di mezzi e persone è indescrivibile. Per quanto riguarda il Super Bowl, si tratta di un evento estremo e gli americani non si preoccupano affatto del cambiamento climatico, cioè: Trump. Un presidente che si burla di questi argomenti, e gli americani si sentono liberi di volare per comprare un pacchetto di sigarette con un jet privato per 3.000 chilometri. Non si preoccupano affatto dell'inquinamento atmosferico. Veramente è un peccato che così tanta energia venga sprecata per un evento. Poi però ci sono artisti come i Coldplay,  che invece si impegnano realmente per  ridurre la carbon footprint nell’organizzazione dei loro concerti. Noi abbiamo fatto ogni genere di cose: come condurre il pubblico in pochi hub e guidarli all’arena con degli autobus elettrici, o lasciandole arrivare in treno e con i mezzi pubblici vari. Ma far scendere le persone dall’auto non è facile. Negli ultimi anni c'è stata una crescita delle auto elettriche, che sta già rallentando, e questo potrebbe essere un grosso problema. Puoi fare tanti sforzi per la sostenibilità e agire sugli eventi, la sede ecc. Ma non puoi controllare tutto. Quindi, per le persone che partecipano a quel tipo di eventi, è difficile credere nella sostenibilità se io arrivo con i mezzi pubblici mentre migliaia di VIP arrivano con il jet privato. La mia azione è inutile. Quindi, come può la sostenibilità essere più credibile e meno noiosa?   Credo si debba pensare ad un processo che richiede una visione a lungo termine. Devi essere in grado di pensare ai tuoi figli e nipoti, e pensare a ciò che sarà tra 100 anni, ma questo lo rende un concetto molto astratto. Se ho fame oggi non riesco a pensare a cosa sarà tra 100 anni, quindi, tutta la questione della sostenibilità e diciamo del controllo del cambiamento climatico, prima di tutto è una questione di volontà, devi crederci, capire che lo abbiamo creato noi, e noi possiamo risolverlo. Ho una formazione tecnica e penso che molte cose nel mondo si risolvono con la tecnologia. In Arena abbiamo iniziato  a pensarci nel 2010 quando questo argomento non era nemmeno un argomento, e poi siamo andati al sodo e ci siamo detti: "beh, siamo i primi, e quindi saremo i primi a cambiare l'intero piano energetico”. Ma fuori dalla nostra bolla non possiamo non vedere quanto le persone siano pigre, e come dicevo prima, non vogliono cambiare le loro abitudini. Così, nella nostra organizzazione, ho creato un centro di innovazione, che era separato dal business quotidiano, in cui ho messo alcune persone con una mente folle e creativa, e lo abbiamo messo in contatto con l'intera rete di aziende del nostro indotto che volevano alimentarla. Creatività e innovazione organizzate, fu un successo. Ma la maggior parte delle persone, così come la maggior parte degli stadi e delle squadre di calcio non sono organizzate. Pensano per oggi e domani. Voglio dire, il calcio è anche uno sport molto arretrato. Continuano così come sono, mentre il mondo si sta rivoluzionando, pensano alla sostenibilità solo come un fattore di costo, mentre se la fai bene, ci guadagni. Hai detto che eri un ex giocatore di pallavolo, giusto? Quindi, sport e architettura, la tua carriera è una conseguenza naturale. Sì. Ho fatto sport per tutta la vita, sono stato nella nazionale di volley per un paio d'anni. Quindi avevo questa mentalità sportiva, ma sono entrato nel progetto dello stadio per una pura coincidenza, non ero uno specialista in progetti di stadi. Quindi una volta lì, ho pensato "beh, faccio questo per cinque anni, e poi tornerò alla consulenza". Ma poi questo progetto era così innovativo, perché non era di proprietà del club, né della città. Era un'organizzazione indipendente. Quindi ho avuto tutto lo spazio e tutta la libertà per svilupparlo. Così abbiamo avviato una consulenza, poi un programma di sostenibilità e innovazione, che hanno portato uno sviluppo continuo che mi ha fatto mantenere un grande interesse. Era tutto nuovo ogni giorno, e quindi era un mondo che non mi ha mai annoiato. Poi ok c’era  il calcio, ma anche i concerti, e le strutture, l'ampliamento dell'edificio e la sua innovazione. Abbiamo investito 100 milioni € in dieci anni, eravamo sempre in azione, e avevamo i soldi. Abbiamo fatto profitto, quindi potevamo reinvestire in libertà e questo è stato un processo così stimolante che non ho mai avuto la sensazione di dire "ok ora è abbastanza". Ma ora che sono in pensione, dico ok ora è abbastanza, anche se mi guardo indietro con piacere. In realtà, mi sento molto privilegiato per aver avuto questo lavoro. Voglio dire, è fortuna. È pura fortuna. Vedo gente seduta in un ufficio fino a 65 anni a fare solo un piano di bilancio o cose di contabilità, oh mio dio. Fortunatamente, avevo un lavoro come questo e potevo combinare alcune cose, e mantenere in salute il mio cervello di architetto. Un architetto progetta sempre nella sua testa. Le persone  con nozioni tecniche sono sempre impegnate a creare cose nella loro testa. E poi noi tecnici siamo persone che vanno sempre verso una realizzazione. Non ci accontentiamo solo del concetto, vogliamo realizzare la nostra idea. Quindi questo è stato un aspetto importante, ma ce ne sono tanti altri che mi hanno aiutato: l’attività di consulenza è stata una fonte di informazioni continua, che ho potuto riversare  ad Amsterdam. Ero uno sportivo, ma sono anche un fan dei Rolling Stones, Michael Jackson, Tina Turner ecc. Voglio dire che anche la musica è un mondo di cui non si ha mai abbastanza. La forma multipla della mia figura mi permetteva di essere imprenditore in un'organizzazione esistente avviando nuove organizzazioni al suo interno, e questo lo rendeva interessante. Ed è così unico. Dopo tutto, lo sport è un mondo unico, come ho appena detto, è come la religione, non puoi spiegarlo. Non è una cosa del tipo "metto un bravo manager a capo di tutto e poi diventi campione". No, non funziona così. Funziona più come un clan. Ci penso spesso da un punto di vista più filosofico. Quali sono i punti di successo e i punti di fallimento in un club di calcio? Del tipo se vedi solo i risultati o no? Antetokounmpo, in una conferenza stampa, dopo una domanda brusca da parte di un giornalista tipo "quest'anno, non vincerai il campionato. Quindi è un fallimento per te". Lui risponde "no. Non è un fallimento perché sono migliorato io stesso. La squadra è migliorata. Non possiamo vincere ogni anno, quindi non è un fallimento". Beh, dipende, certo, ci sono certi club, in base al loro status, che devono diventare campioni. Se il Milan non diventa campione, ha fallito. E lo stesso vale per l'Ajax. Voglio dire, se l'Ajax non è campione, allora abbiamo fallito, hai una guerra interna. È un processo molto interessante. Ho osservato questo per venticinque anni con alti e bassi enormi e poi ho pensato: da dove viene tutto questo? E ora, visto che hai tanta esperienza, che tipo di consiglio daresti a persone come me che stanno iniziando un percorso nel mondo dello sport? Ci sono così tanti soldi nel calcio, e devi guardare cosa sta restituendo alle persone, quindi fai attenzione a cose tipo i prezzi dei biglietti. Devi avere una specie di sensazione superiore e pensare che il calcio è uno strumento molto potente: il calcio può cambiare il mondo. Il calcio può fare la pace nel mondo. Il calcio può risolvere la povertà nel mondo. Il calcio può risolvere forse o contribuire al cambiamento climatico. In ogni caso dovrebbe abbracciare questi temi e agire secondo dei valori morali. Ma se fai i campionati del mondo in Qatar o in Arabia Saudita, questa è la prova che lo fai solo per soldi perché tutto il resto è sbagliato. Sono stato in Qatar, è un bel posto. Politicamente, possiamo discuterne, ma è uno Stato grande quanto una provincia, che non ha storia nel calcio. Idem in Arabia Saudita. Quindi significa che lo fai solo per i soldi. E questo è qualcosa al livello più alto, più astratto. Il calcio è molto importante. Penso, come ho detto prima, che le persone non vadano più in chiesa, vanno ad una partita, e  in parte svolge la stessa funzione. Incontri i tuoi amici, parli della partita, ma parli anche della vita quotidiana, quindi c'è un ruolo sociale notevole. E come club, puoi anche facilitare questo aspetto. Sii consapevole di quel ruolo e facilitalo. Quindi come stadio, puoi adattarti in modo che le persone arrivino prima, restino più a lungo, si incontrino, si divertano insieme e investi in quel modo nel valore sociale. Inoltre penso, come abbiamo iniziato la conversazione, lo stadio è un edificio molto costoso ma ha un modo molto limitato di produrre reddito se giochi 25 partite all'anno, è un peccato. Deve essere usato ogni giorno. I club e lo stadio dovrebbero tenere a mente che almeno una parte dello stadio dovrebbe essere sempre in funzione. Dovrebbe essere pensato e gestito in modo tale che le persone possano usarlo come piazza della città. E in questo modo il calcio può  restituire molto di più alla società. Una volta entrati, com’è il mondo del calcio? Beh, nel calcio ci si divide in hardware e software. L'hardware è lo stadio e il software è il club. In ​​un club di calcio ci sono le funzioni specifiche che si vedono anche nel business, come marketing e vendite, finanza, marketing ecc. Oltre al core business in sé ci sono molte professioni di cui ci si può occupare in un club di calcio, e molti club non usano abbastanza professionalizzazione. C'è una grande discussione ora in Olanda. Il calcio ha molti aspetti visti scientificamente: il business, lo stadio, le strutture ecc.. E quindi è un grande datore di lavoro. Studiando bene dal lato scientifico, chiediti "in quale mondo sto entrando?" Perché nel mondo del calcio uno più uno non fa due. Poi devi anche studiare lo spirito del calcio, il modo in cui funziona, e questa è una cosa che ho imparato guardando l'Ajax. Questa non è la logica che vedi in un'azienda, a volte ti chiedi "Oh, com'è possibile che quel tizio gestisca tutto questo? Voglio dire, non sa nemmeno leggere e scrivere". Quindi, in ogni caso, devi studiare e approfondire con rigore scientifico l’aspetto di questo sport che ti sta a cuore e che vuoi sviluppare. Hai ancora qualche sogno, qualche obiettivo da raggiungere in questa nuova parte della tua vita? Spero di poter scrivere un libro, cose come quelle di cui parliamo ora, ne fanno parte. Vorrei parlare della visione dell'intero processo. Per me è molto importante capire come si passa da zero a un edificio pronto. L'intero processo è interessante, molto complesso e alla fine il prodotto come dovrebbe essere? Penso a cose tipo “qual è lo stadio ideale?” Quindi queste sono le cose a cui concedo la mia attenzione e  sto cercando di guardare in quale direzione andrà il futuro. Ma, beh, se riesco a finire quel libro, sarei già felice. E forse, okay, sto parlando con diverse persone in Europa. Forse un giorno, potrò essere consulente in una nuova città dove le mie idee potranno essere messe in pratica. Ma non ho ancora avviato una società di consulenza. Voglio dire, mi piace godermi il mio tempo libero e fare viaggi. Quando sei un consulente hai tanta pressione addosso, e io non ne voglio affatto. Mi piacciono i miei hobby.

  • The house that Henk built - ENG version

    Interview with Henk Markerink, the multifaceted mind who directed the Johan Crujiff Arena in Amsterdam for 30 years Second interview by Pravda Deportiva, also this one done on a beautiful Monday morning, in call, there is sun also on the other Teams box, from which Henk Markerink warmly greets me, the man who from 1991 to 2021, directed the Johan Crujff Arena, one of the most functional and modern stadiums on the planet, home of Ajax. He greets me asking if I were in Milan, I answer that I live in Calabria and from the terrace of my office I see a stretch of fields, followed by a blue sea and Etna in the background. And here we get straight to the heart of the matter, in fact he responds like this:I have never been to Calabria, but I definitely want to go, also because I am reading a lot about ancient philosophy and that part of the world has really played an important role. You know, I have always liked philosophy, and since I live between Istanbul and Amsterdam, because my wife is from Istanbul, I automatically compare myself with Greek philosophy on a daily basis. I also recently spent ten days in Sri Lanka, which is very similar to India, even though it is a mainly Buddhist place, but the Hindu influences are many and there are obviously also communities of Catholics, Protestants and Muslims. I find it interesting that they live in peace together, in fact I have not noticed any kind of animosity between them. What is your main occupation at the moment? I am the president of Sportstad in Heerenven, a multifunctional sports center, where the stadium is only part of a complex that includes a swimming pool, sports centers, a gym and even a hospital. The stadium has a capacity of about 30,000 seats, and the team is always in the middle of the Eredivisie. But this reality is an example of how a stadium should be composed and how much it can be the center of a company, because after all it is a small citadel, with its own micro-cosmos. Everyone uses this building: if you go there in the morning you find the elderly going swimming, the young people go to the gym, others attend a sports academy. So this building is always alive. I am the president, and I am also on the board of a large real estate company in Amsterdam, which manages assets with an estimated value of about a billion euros. And then I have a couple of other things in the museum and in the cultural heritage sector. For the Johann Crujff Arena, they call me every now and then for some advice, but I no longer have an official role. But I did it for about thirty years. And for this you are part of the history of European football. What do you think? Not really, but that’s okay. I’m trying to write a book about my journey at the moment. I started as a consultant on the project in 1991, and I retired in 2022. So it’s about thirty years of involvement. And I have to say, when you write this stuff and you look at the history around you, you think “we were the forerunners in this field”. In that sense, we took a new step in history, but I don’t see it as just my personal thing. It was a whole division of the club. It was the vision of the city, and of its leadership, so when I look back, I feel very privileged to have been able to lead the whole process. We did a lot of things that had never been done before, and when you do new things there is also the risk that things will go wrong: like the grass which was a problem at the beginning, and the acoustics, the logistics; man, the logistics of a multi-purpose stadium is something very different to a traditional football stadium. So we had a lot of, as we say, “childhood diseases,” that we grew out of. I’m honestly very proud of what I see now. That’s about it, but it doesn’t claim a place in the history books. Everything was new every day, there was football, but also concerts, and the facilities, the expansion of the building and its innovation. We invested €100 million in ten years, we were always in action, and we had the money. In a way you were lucky, because 1995 was the first year of the former Amsterdam Arena and it was also the year Ajax won the Champions League. You can't hope for a better start. Yes. You have to be lucky in life. Sometimes there are people who are always unlucky and there are people who are accompanied by good luck. And in that sense, there were very fortunate circumstances during the construction, because at a certain point there was indeed a lack of money to finance the project, but we invented a model of shareholding in which other players could participate financially. Then Ajax won the UEFA Cup in 1993, the European Cup in 1995 in Vienna against Milan, and then in 1996 they played the final again in Rome against Juventus. In that heyday, people said "we want to participate in the new stadium", so everyone bought shares and it was a fantastic success. If these circumstances hadn't occurred, we probably would never have raised so much equity capital. So it was a lucky factor. Also, whoever you are, whatever idea or project you have, it's always important to have a good team with you, you can't survive with just a few concerts and, now and then, a national match. One thing that really impressed me was studying the ownership model of the Johan Cruijff Arena. You explained that the owner is a company, whose main shareholders are Ajax and the City of Amsterdam. But there are also other investors, do you think this model can be exported? Oh, yes, absolutely. And I am still surprised that this model has not been copied more, because it is a very solid way of financing such an expensive building. And we founded a consultancy company where I have dealt with about 30/35 projects all over the world, from China, to Brazil, to Qatar and Moscow and everywhere the question is of course "ok, the stadium costs 500 million euros, where do we get the money?" That is always the first question. Well, in some countries the state is predominant, and then they pay, as well as in cases where your client is a very rich club. But in all other cases, there is never enough money. And this model, where you contact society and the business world, and they all buy a share of the stadium and then you give them something in return, like free tickets or whatever, is a form of social crowdfunding which in itself, is a very logical system and adapted to contemporary needs. Do you think it could be adopted by smaller clubs and in small cities? Yes of course, even being in the third division, can be applied at all levels. The important thing is that the city also participates because the stadium is always something public/private. So you have to give your contribution from the city, to the business world, the citizens and obviously to the fans.Today in Italy there is a situation where every stadium stays open two days a month, just for home games. In your experience, why does it seem like people don't understand that a stadium should stay open, like for 20 days a month? I don't understand that either. I was a consultant in Italy with Andrea Santini. One of our frontmen in Italy. So we made a very nice plan for Venice, and we were in contact with Inter, with Roma, and Napoli. I mean, we had contacts with different clubs, and we always started from the idea of ​​multifunctionality. In these big cities, there is also a big market for concerts and entertainment, but still there is no progress in that sense. I think it has to do with the mentality of football, because it is so self-centered, they only think about themselves and the next match. But they are not able to see the moment. They say "if there is a concert, the grass gets damaged", there is a kind of mantra in which football has to be the center, and there is no space for sharing. Whereas if you really look at the business, it is a very logical thing to say, especially in the big cities, that the stadium is for all the big events and big concerts etc. Ajax was only 50% of our business, the other half came from big events, so financially it is like that. On the other hand, there is so much money in football at the moment that the big clubs say "well, we don't need these extra millions because we are rich enough. Our turnover is already 500 million, what is 2 million more". So, football has also become a bit arrogant in that sense. It's strange because, especially in medium or small cities, the stadium is the largest infrastructure in the city. So why not use it every day? Why do you have to build a giant building and then keep it closed? At the same time, you also see that the concert world that was more amateur, let's say thirty years ago, has become very professional with very few big promoters like the guys in the United States. Of course, a multifunctional stadium always has a lot of compromises, I mean it's not the solution for everything, you need a roof actually, when it rains you have to drain it because the acoustics have to be perfect, the logistics are different. So doing something in a stadium is sometimes difficult. In fact, a lot of the big organizers, they prefer to do big concerts in a park, where they can put hundreds of thousands of people, with a stage and all the temporary structures, which is often cheaper from a commercial point of view, than going to the stadium. In the meantime the big promoters, they are also investing a lot in structures all for themselves, I foresee a development in twenty years, where Life Nation and these kind of big players, will build some big covered structures, where Taylor Swift will perform thirty, forty times, and if you want to see her, you have to take a plane and go to Milan or Berlin or London. This could happen in the future, and big artists will no longer be interested in stadiums, they will simply develop their buildings. Speaking of Taylor Swift's flights: last night was the Super Bowl, thousands of VIPs, politicians, even Trump, singers, actors, they all went there just for the game, leaving right after, each one practically on a different flight.   Yes. This is a big conflict actually for all the big events where there is that amount of traffic. When the Rolling Stones arrive at the stadium, just for their structure they bring dozens of trucks for audio, lights and stage, then there is everything else and therefore the movement of vehicles and people is indescribable. As for the Super Bowl, it is an extreme event and the Americans do not care at all about climate change, that is: Trump. A president who mocks these arguments, and the Americans feel free to fly to buy a pack of cigarettes with a private jet for 3,000 kilometers. They do not care at all about air pollution. It is really a shame that so much energy is wasted for an event. But then there are artists like Coldplay, who are actually committed to reducing the carbon footprint in the organization of their concerts. We have done all sorts of things: like leading the audience to a few hubs and guiding them to the arena with electric buses, or letting them arrive by train and various public transport. But getting people out of their cars is not easy. There has been a growth in electric cars in recent years, which is already slowing down, and this could be a big problem. You can put a lot of effort into sustainability and act on events, venues, etc. But you can’t control everything. So, for people who attend those kinds of events, it’s hard to believe in sustainability if I arrive by public transport while thousands of VIPs arrive by private jet. My action is useless. So, how can sustainability be more credible and less boring? There is a need to think about a process that requires a long-term vision. You have to be able to think about your children and grandchildren, and think about what will be in 100 years, but that makes it a very abstract concept. If I'm hungry today I can't think about what will be in 100 years, so, the whole issue of sustainability and let's say controlling climate change, first of all it's a question of will, you have to believe in it, understand that we created it, and we can solve it. I have a technical background and I think that many things in the world are solved with technology. In Arena we started thinking about it in 2010 when this topic wasn't even a topic, and then we got to the point and said: "well, we are the first, and therefore we will be the first to change the entire energy plan". But outside our bubble we can't help but see how lazy people are, and as I said before, they don't want to change their habits. So, in our organization, I created an innovation center, which was separate from the daily business, where I put some people with a crazy and creative mind, and we connected it with the entire network of companies in our supply chain that wanted to feed it. Creativity and innovation organized, it was a success. But most people, as well as most stadiums and football teams are not organized. They think for today and tomorrow. I mean, football is also a very backward sport. They continue as they are, while the world is revolutionizing itself, they think of sustainability only as a cost factor, while if you do it well, you make money. You said you were a former volleyball player, right? So, sports and architecture, your career is a natural consequence. Yes. I have been involved in sports all my life, I was in the national volleyball team for a couple of years. So I had this sporting mentality, but I got into the stadium project by pure coincidence, I was not a specialist in stadium projects. So once I was there, I thought "well, I'll do this for five years, and then I'll go back to consulting". But then this project was so innovative, because it wasn't owned by the club, nor by the city. It was an independent organization. So I had all the space and all the freedom to develop it. So we started a consultancy, then a sustainability and innovation program, which brought continuous development that kept me very interested. It was all new every day, and so it was a world that never bored me. Then ok there was football, but also concerts, and the facilities, the expansion of the building and its innovation. We invested €100 million in ten years, we were always in action, and we had the money. We made a profit, so we could reinvest freely and that was such an inspiring process that I never had the feeling of saying “ok, that’s enough”. But now that I’m retired, I say ok, that’s enough, even though I look back with pleasure. I actually feel very privileged to have had this job. I mean, it’s luck. It’s pure luck. I see people sitting in an office until they’re 65 and just doing a budget plan or accounting stuff, oh my god. Luckily, I had a job like this and I could combine a few things, and keep my architect brain healthy. An architect is always designing in his head. Technical people are always creating things in their head. And then we technicians are people who are always moving towards a realization. We’re not just satisfied with the concept, we want to realize our idea. So that was an important aspect, but there are many others that helped me: the consultancy was a continuous source of information, which I could pour into Amsterdam. I was a sportsman, but I am also a fan of the Rolling Stones, Michael Jackson, Tina Turner etc. I mean, music is also a world you can never get enough of. The multiple form of my figure allowed me to be an entrepreneur in an existing organization by starting new organizations within it, and that made it interesting. And it is so unique. After all, sport is a unique world, as I just said, it is like religion, you can't explain it. It is not a thing like "I put a good manager in charge of everything and then you become a champion". No, it doesn't work like that. It works more like a clan. I often think about it from a more philosophical point of view. What are the points of success and points of failure in a football club? Like do you only see the results or not? Antetokounmpo, in a press conference, after a blunt question from a reporter like "this year, you're not going to win the championship. So it's a failure for you." He answers "no. It's not a failure because I've improved myself. The team has improved. We can't win every year, so it's not a failure." Well, it depends, of course, there are certain clubs, based on their status, that have to become champions. If Milan don't become champions, they have failed. And the same goes for Ajax. I mean, if Ajax are not champions, then we have failed, you have an internal war. It's a very interesting process. I've been watching this for twenty-five years with huge ups and downs and then I thought: where does all this come from? And now, since you have so much experience, what kind of advice would you give to people like me who are starting a journey in the world of sport? There is so much money in football, and you have to look at what it is giving back to the people, so pay attention to things like ticket prices. You have to have some kind of higher feeling and think that football is a very powerful tool: football can change the world. Football can make peace in the world. Football can solve poverty in the world. Football can solve maybe or contribute to climate change. In any case it should embrace these issues and act according to moral values. But if you do the World Cup in Qatar or Saudi Arabia, that is proof that you do it only for the money because everything else is wrong. I have been to Qatar, it is a beautiful place. Politically, we can discuss it, but it is a state the size of a province, which has no history in football. Idem in Saudi Arabia. So it means you do it only for the money. And that is something on the highest, more abstract level. Football is very important. I think, as I said before, that people no longer go to church, they go to a match, and it partly serves the same function. You meet your friends, you talk about the game, but you also talk about everyday life, so there is a significant social role. And as a club, you can also facilitate that. Be aware of that role and facilitate it. Then as a stadium, you can adapt so that people come earlier, stay longer, meet, have fun together and invest in that way in the social value. Also I think, as we started the conversation, the stadium is a very expensive building but it has a very limited way of producing income if you play 25 games a year, it's a shame. It has to be used every day. Clubs and stadiums should keep in mind that at least part of the stadium should be in use all the time. It should be designed and managed in such a way that people can use it as a town square. And in that way football can give back much more to society. Once you get in, what is the world of football like? Well, in football you divide into hardware and software. The hardware is the stadium and the software is the club. In a football club you have the specific functions that you also see in business, like marketing and sales, finance, marketing etc. Besides the core business itself there are many professions that you can do in a football club, and many clubs don't use enough professionalization. There is a big discussion now in Holland. Football has many aspects seen scientifically: the business, the stadium, the facilities etc. And therefore it is a big employer. When you study well from the scientific side, ask yourself "what world am I entering?" Because in the world of football one plus one doesn't equal two. Then you also have to study the spirit of football, the way it works, and that's something I learned from watching Ajax. That's not the logic you see in a company, sometimes you ask yourself "Oh, how is that guy managing all this? I mean, he can't even read and write". So, in any case, you have to study and deepen with scientific rigor the aspect of this sport that you care about and that you want to develop. Do you still have any dreams, any goals to achieve in this new part of your life? I hope I can write a book, things like what we are talking about now, are part of it. I would like to talk about the vision of the whole process. For me it is very important to understand how you go from zero to a finished building. The whole process is interesting, very complex and in the end what should the product look like? I think about things like “what is the ideal stage?” So these are the things I give my attention to and I am trying to look in which direction the future will go. But, well, if I can finish that book, I would be happy already. And maybe, okay, I am talking to several people in Europe. Maybe one day, I can be a consultant in a new city where my ideas can be put into practice. But I have not started a consultancy yet. I mean, I like to enjoy my free time and travel. When you are a consultant you have a lot of pressure, and I don't want that at all. I enjoy my hobbies.

  • Paolo Morganti, dalla Juve a CEO del Catanzaro

    Intervista con il CEO del Catanzaro, squadra rivelazione di Serie B, tra vision, programmazione e un concetto di calcio sostenibile Scrivo al suo indirizzo email, chiedendo un'intervista, pensando di riscrivergli dopo una settimana per sollecitare una risposta, invece qualche ora dopo ricevo un'email in cui la mia richiesta veniva soddisfatta, e giusto qualche giorno dopo ci troviamo in call. Si presenta in giacca e cravatta, sullo sfondo un enorme poster che ritrae un'esultanza dopo qualche gol. Paolo Morganti arriva da una lunga esperienza alla Juve, in cui si è occupato della gestione delle strutture del club e del settore giovanile. Una figura in cui si esige una certa apertura mentale e una visione a lungo termine, per poter progettare, anticipare e farsi trovare con l'ombrello in mano nei giorni di pioggia. Oggi è il nuovo CEO del Catanzaro, club al secondo anno consecutivo di Serie B, che si sta riconfermando ad alti livelli, dopo la semifinale playoff giocata da neopromossa. Voglio partire dei temi stadio, infrastrutture e settore giovanile. Lei arriva dalla Juventus che è una delle pochissime squadre italiane ad avere uno stadio di proprietà, un centro sportivo all'avanguardia, multifunzionale, e un settore giovanile molto sviluppato. Però, a parte quella società e pochissime altre qual è la situazione del calcio italiano da questo punto di vista? Credo che la situazione del calcio italiano guardando i numeri non sia florida,  da un punto di vista del bilancio infatti le squadre in serie A, B e C ogni anno subiscono diverse perdite sicuramente, ed estendo il ragionamento a livello europeo, c'è una grossa difficoltà a gestire una squadra di calcio. Lo sottolineo perché a mio avviso oggi siamo in presenza di due gran macro aree: una nordamericana e una europea, la prima vive di leghe in cui vige il salary cap, insieme ad altri strumenti di controllo che legano gli emolumenti dei tesserati a diversi parametri. Oltre a questa è diversa la struttura dei campionati, che non prevedono promozioni e retrocessioni. Il modello europeo invece è basato naturalmente sulla competizione, portando i club ad innalzare sempre di più l'asticella per poter vincere, e questo fa crescere in maniera importante i salari dei tesserati. In Europa  abbiamo dei sistemi  per sorvegliare questi meccanismi, noi ad esempio lavoriamo su degli indicatori di liquidità, di indebitamento ecc. Probabilmente questi parametri non hanno ancora funzionato al massimo perché il nostro sistema è ancora un po' crisi, banalmente oggi l'indicatore di liquidità delle squadre italiane si aggira tra 0.6/0.7 quando il minimo per un'azienda dovrebbe essere 1: cioè le attività correnti dovrebbero essere in euqilibrio rispetto alle passività correnti nell'arco temporale di 12 mesi. Questo è un aspetto da approfondire soprattutto nelle leghe inferiori, perché la serie A ha altre prospettive grazie alle coppe e i diritti tv, e deve stare al passo anche con le altre squadre europee. A sostegno di questo pensiero io credo che sia fondamentale tendere ad una sostenibilità nel lungo periodo, e in questo naturalmente sono fondamentali  due aspetti di strategia: infrastrutture e settori giovanili. Se tu prendi il bilancio di una società, all’interno dell'attivo dello stato patrimoniale trovi solo i calciatori, il cui valore è molto volatile, difficilmente tangibile. Quindi le società si devono “patrimonializzare” e l'unico modo per farlo è attraverso le infrastrutture,  e investire sulla seconda squadra e il settore giovanile. La Juve, ad esempio, sotto la guida del presidente Agnelli ha raggiunto molti di questi obiettivi, che hanno lanciato il club in un futuro di alto livello europeo, che oggi è il presente. Ma a quel livello, questo ragionamento rappresenta  la base di costruzione e in generale in Italia questo siamo veramente indietro già su questo. In Italia molto spesso, grandi progetti per gli stadi, vengono rallentati o cancellati, quando ci si trova davanti al vincolo della soprintendenza, come successo ad esempio per il secondo anello a San Siro, lo stadio di Bologna, lo stadio di Firenze, lo stadio Flaminio perché è stato fatto da Pierluigi Nervi ecc. Come se ne esce da questa situazione? È difficile, bisogna avere equilibrio. Io sinceramente da manager devo anche essere anche in grado di non far svalutare un bene, capire se lo voglio conservare e se lo ritengo necessario, e se quel bene rappresenta la storia di una città ci metto un vincolo. Sinceramente ci sono tanti manufatti in condizioni pessime che hanno dei vincoli, e con tante bellezze che ci sono in Italia con una storia millenaria, vincolare alcune situazioni meno importanti  mi sembra una strategia a perdere, oltre al fatto che si tolgono risorse ad altri monumenti che invece rappresentano davvero la storia del nostro Paese. Parlando con amici catanzaresi ogni tanto chiedo cosa ne pensano di un restauro o una demolizione del loro stadio, per sostituirlo con uno più bello e moderno, e mi prendono per pazzo, mi dicono che lo stadio Ceravolo è la storia. Ho capito: ma se a Londra hanno demolito Wembley vivaddio,perché non si può lavorare sugli  stadi di provincia. Anche qui bisogna trovare un giusto equilibrio, guardare al  futuro tenendo un piede nella storia perché quello rappresenta la nostra cultura, l’attaccamento a certi valori. Tuttavia questo si può fare benissimo, come dici tu, se lo hanno fatto a Wembley lo possono fare tutti quanti Vista la sua esperienza anche nei settori giovanili e nelle infrastrutture, la scelta del presidente di prendere Morganti è anche legata ad una strategia del club a investire in questo senso? Credo che il presidente non faccia nulla per caso, da imprenditore sa che ci vogliono delle basi ben solide sulle quali strutturare una società, e poi ci vuole tempo: questi sono due punti fondamentali. Le infrastrutture e i settori giovanili hanno bisogno di n  anni per poter riuscire ad ottenere un obiettivo per svariati motivi , bisogna iniziare mettendo giù le prime le prime pietre di questo sviluppo. E questo processo si fa con la programmazione, individuando degli obiettivi fondamentali e andando ad analizzare quant'è lo spostamento da questi obiettivi attraverso dei KPI, che devono essere il più oggettivi possibile. Per le infrastrutture è più facile, perché lavori con degli obiettivi oggettivi. Per i settori giovanili, lavorando con le persone e con un territorio, devi cercare di trovare dei parametri, ed è più difficile riuscire a trovare dei KPI a lungo termine. Perché il tema che si è sempre aperto nei settori giovanili è: vincere per formare o formare per vincere? Ovvero qual è il KPI che mi permette di dire sono arrivato a un certo livello? Se vinco i campionati senza una crescita per me questa è una strada senza un futuro, il tema vero è la formazione nel settore giovanile. Noi dobbiamo ripartire dalla formazione. Io dico sempre che noi facciamo calcio, siamo una squadra di calcio e dobbiamo fare questo. Vedo in giro un graduale abbandono del progetto sportivo, le società devono avere l'idea principale di sviluppare un proprio progetto sportivo che naturalmente è differente da qualsiasi realtà. Alcune volte il progetto sportivo viene alla fine di un percorso di analisi economica e di tempistiche, invece abbiamo sempre fatto un ragionamento al contrario, ovvero un ragionamento sugli obiettivi e sulle strategie sportive che poi declinerà ad ogni società. A proposito di strategie, perché gli stadi, che sono gli edifici più grandi della città vengono tenuti aperti solamente due giorni al mese, cioè nelle due partite in casa? Perché non si cerca di creare una struttura che possa essere aperta, e fornire servizi e spazi anche alla collettività, ogni giorno della settimana? Ad Amsterdam, per la Johann Cruijff Arena, hanno un modello di ownership, quindi di proprietà dello stadio, ibrida, che non è né della società e né della città di Amsterdam. Hanno creato una società terza in cui i maggiori azionisti sono la città di Amsterdam e l'Ajax, dentro ci sono anche diversi azionisti istituzionali e privati. Ogni anno in quello stadio si tengono 125 eventi, di cui 25 sono le partite dell'Ajax, il resto sono eventi di varia natura, e loro molto candidamente dicono: una società di calcio deve fare calcio, come sta dicendo lei. Non deve fare organizzazione di eventi, business, ecc. Questa parte lasciamola gestire ad altri, però allo stesso tempo c'è la necessità tenere aperto questo microcosmo ogni giorno, altrimenti avremo solo debiti. Lei pensa che questo modello possa essere applicato in Italia, tra squadre più piccole? È un tema complesso, io ci metto un aspetto che è la cultura italiana, che poi incide su quello che è il business plan di una struttura come può essere Amsterdam Arena trasportata in Italia. Guarda, molto semplicemente ci vuole coraggio come in tutte le cose, ci vuole il coraggio di dire alla parte sportiva che per stare in piedi dobbiamo giocare una partita di rugby durante il campionato, ci vuole coraggio nel dover assegnare degli slot agli eventi commerciali, che a volte possono anche interferire con l'attività sportiva. Noi purtroppo abbiamo una cultura italiana per la quale affidiamo al risultato sportivo il giudizio per determinare se uno è bravo o meno bravo: uno può perdere milioni di euro e vincere, ed essere considerato bravissimo, mentre quello che magari si salva ma tiene sempre il bilancio perfettamente in equilibrio, allora non va bene. Se cambiamo la nostra cultura – qualora fossimo disposti – si potrebbe cominciare a ragionarci su, ma forse al momento non siamo pronti per questo. Però arriveremo al punto in cui sarà necessario, io vorrei arrivarci prima di renderla necessaria questa cosa, quindi dobbiamo lavorare su questo punto, e devo dire che oggi il Catanzaro è un'isola felice. Questo è un tema su cui le società di calcio devono lavorare. Ciò non vuol dire che il debito sia un qualcosa di negativo naturalmente, no? Perché tantissime società lavorano con un proprio debito, il tema è capire perché si fa e a cosa ti ha portato,perché se parliamo di un debito in infrastrutture e miglioramenti del processo sportivo, naturalmente sono investimenti che definirei buoni,  se invece quel debito è generato per pagare l'ordinario è debito cattivo.  Il Catanzaro che è gestito come un'azienda, si fa il passo giusto per poter sviluppare dei tasselli poco a poco all'interno di un mosaico più ampio, cosa porterà questo mosaico è difficile, perché giochiamo una competizione molto ardua, in cui altre diciannove squadre lottano per un obiettivo. Noi dobbiamo seguire la linea dettata dalla proprietà, quindi ricerca della sostenibilità, ricerca delle infrastrutture e mettendoci dentro anche i settori giovanili. Qual è il valore sociale dei settori giovanili? Il settore giovanile di un club è il primo ambito sociale insieme alla scuola, in cui  i bambini cominciano a giocare a calcio 6/7 anni, cioè quando iniziano ad andare a scuola. Sport e istruzione sono due aspetti della loro vita sociale molto forti, in cui si annulla ogni differenza, soprattutto nello sport, perché quando si entra in un campo da calcio, ognuno  è uguale a quello che gli sta è vicino, senza nessuna differenza se non il valore e la capacita del ragazzo. Il settore giovanile ha anche un valore economico,   perché i talenti  che arrivano da lì, hanno un moltiplicatore di valore elevato e vendere un calciatore cresciuto in casa, per dire, a 5 milioni di euro, permette ad un club di serie B di rifare la curva. Hai capito, ma forse la visione e la programmazione oggi non trovano spazio in molte realtà; guarda la sessione di mercato invernale appena finita, ci sono squadre che hanno cambiato tantissimo. La paura ti porta a cambiare quello che è il tuo progetto sportivo dopo sei mesi, è possibile? Dobbiamo ragionarci su perché siamo in un sistema troppo veloce. Accelerazione verso il risultato a tutti i costi, porta degli oneri eccessivi, alcune volte bisogna tenere la barra dritta in una nave in tempesta. Ormai la nostra società è abituata a raggiungere a tutti i costi la vittoria, questo cosa vuol dire? In un campionato di serie B ci sono tre squadre che vincono e diciassette “perdono”, tra queste, 4 retrocedono e perdono ancora di più, ma io posso pensare che solo tre su venti progetti sono progetti vincenti? Siamo troppo orientati verso questi concetti del successo e della vittoria a tutti I costi. C'era una conferenza di Allegri di un paio d'anni fa, e quindi si vede che avete lavorato insieme, che diceva proprio questo: alla fine lo scudetto lo vince uno solo, tutti gli altri no, e quindi vincere non è una cosa ordinaria è un fatto straordinario. Quello è il tema sul quale bisogna ragionare. Probabilmente anche le società devono comunicare di più, verso i propri tifosi, spiegargli quali sono gli obiettivi e in che modo vuole raggiungerli. Questo secondo me è un tema sul quale ci si deve ragionare assolutamente perché è giusto che i propri stakeholder, i propri tifosi, siano parte di questo progetto, di questa intenzione e di questa valutazione, perché ci vuole trasparenza verso di loro. Catanzaro è una realtà con una base di tifosi fantastica, basta vedere quanti sono in trasferta, ma aldilà del numero, amo vedere persone con passione, equilibrio e interesse solo per la propria squadra. Sostenere senza denigrare la parte opposta, questo è l'obiettivo che noi dobbiamo raggiungere nel calcio. Arrivati a questo punto della stagione l'obiettivo sportivo qual è? Perché allo stadio veramente la parola “promozione” quest’anno non sembra un tabù.  Io dico sempre che l'obiettivo per il Catanzaro oggi deve essere consolidare la categoria. Se vai a vedere le squadre in serie A, per un motivo o per l'altro hanno comunque completato un processo sportivo, fatto sicuramente di infrastrutture, centro sportivo ecc. Oggi noi ce la giochiamo alla pari con tutte in B, anzi molto spesso esprimiamo un buon gioco, e questo fa piacere al pubblico, io credo che oggi  il Catanzaro debba completare  un processo che deve portare naturalmente ad un obiettivo base,cioè il consolidamento della categoria, questo è fondamentale.  Che consiglio vuole dare ai ragazzi che vogliono lavorare nel mondo dello sport? La formazione prima di tutto. Ho lavorato con tanti ragazzi nelle mie prime esperienze, cercando sempre di formare le persone perché quello è il vero valore che lasci all'interno di un'azienda. Fai crescere l'organizzazione, fai crescere il livello. Quindi sicuramente il tema della formazione, imparare il più possibile alcune volte sacrificarsi però per imparare, formarsi, e stare vicino a chi ha grande esperienza. Il secondo consiglio è: conoscere persone, creare un proprio network è  fondamentale,  perché poi si possono creare delle sinergie,e il mondo dello sport offre tantissime possibilità di creare sinergia con il mondo imprenditoriale. Bisogna perderci del tempo, bisogna magari anche creare delle figure nei club  che lavorino in questo al di là del marketing, del commerciale di un'azienda, anche sotto il profilo sociale  e ci sono molti aspetti che passano in secondo piano. Un'ultima domanda, lei come si sta trovando in questi primi mesi a Catanzaro a livello personale e ambientale? Molto bene, devo dire che per me Catanzaro è una sorpresa. Ho sempre lavorato al Nord e quando mi sono trasferito qui a Catanzaro, ho potuto avere il piacere di scoprire un luogo in cui c’è una qualità della vita incredibile. Inoltre sento un'aria frizzantre perché ci sono moti interessi nello sviluppo di infrastrutture , che sono un aspetto fondamentale. Un fattore sul quale bisogna lavorare è quello della capacità di fare network, credo che le persone debbano impegnarsi di  più in questo, per essere un punto di riferimento del Sud Italia. Poi la Calabria è una terra fantastica sotto il profilo del paesaggistico, un mare meraviglioso, la cucina, le persone poi ti mettono a proprio agio, e quindi ne sono positivamente colpito.   .

  • The freewheelin': Bonan

    Conversazione a ruota libera con Alessandro Bonan, storico giornalista sportivo e colonna di Sky Sport, conduttore del celebre Calciomercato l'Originale, e cantautore. Tra Toscana, musica e arte, abbiamo pparlate anche di calcio. PRIMA DI COMINCIARE A LEGGERE, CLICCA PLAY Il primo contatto tramite i DM di Instagram lo mando in pieno fervore da calciomercato in un gennaio calcisticamente torrido, e infatti la risposta è "ok, ma scrivimi a febbraio", da lì troviamo un'oretta libera un venerdì sera. Amo il venerdì sera, perché così come i tramonti, si porta dietro un carico di promesse. La nostra call fila via che è una bellezza, e in men che non si dica era già passata un'ora. Ci salutiamo con la promessa di farne un'altra parlando solo di musica, magari rock e hard rock Lei ha attraversato intere decadi di giornalismo sportivo, dagli anni '90 con Telepiù a oggi, come è cambiato il modo di raccontare il calcio in Italia? È cambiato molto perché è cambiata la fruizione della comunicazione, quando ho cominciato, internet aveva fatto capo, dopo qualche anno nasce Sky Sport 24 che fornisce il servizio di un flusso di news costante 24/7 e anche questo aggiunge un tassello importante. Infine nascono i social che hanno determinato un cambiamento radicale del racconto dello sport, tanto da far apparire la TV un mezzo un po' superato, e rispetto ai miei esordi è come vivere una rivoluzione copernicana. Però è anche vero che con l'invecchiamento della popolazione, la tv possiede un valore centrale all'interno del focolare domestico, e resta sempre il media principale in una casa. In quei programmi dove è ancora predominante la diretta, la tv ha un suo ritmo di verità che invece i social non hanno, perché lì la verità te la costruisci quasi da solo, e questo può essere un problema perché un giovane che si relaziona ai social non vede la verità dei fatti, ma si trova di fronte ad una rappresentazione mediata da qualcosa che viene spesso costruito. Questo può far scaturire anche un'idea di sè stesso sbagliata, del tipo “sono superato, ho vent'anni non ho ancora fatto come qualche coetaneo con milioni di follower”. A volte questi ragazzi sono giovani calciatori che magari dopo una stagione al top diventano delle superstar. Superstar in balia di genitori, manager e agenti, che spesso anche involontariamente fanno il male di questi atleti. Come si comunica con un Kvara rispetto ad un Luka Modric? Io non dimentico mai che sto parlando con ragazzi di vent'anni, anche perché se penso a com'ero io a vent'anni figuriamoci, so perfettamente che il calciatore di vent'anni ha una mente più libera; certo, se riesci ad avere la sensibilità di modulare la comunicazione tenendo conto del suo contesto: frequentazioni, il tipo di famiglia alle spalle, il tipo di cultura, invita - almeno il sottoscritto - ad una prudenza nei suoi confronti. Difficilmente ho una critica tranchant nei confronti di un giovane, cerco sempre l'arma dell'ironia quella sì, però non in maniera troppo verticale su di lui. I giovani campioni del calcio vivono una realtà profondamente drogata dai soldi, e devono stare molto attenti a come questi vengono spostati dal manager, ruolo che ha assunto una centralità che prima non aveva, essendo oggi l’assurda causa della miriade di affari di un eterno calciomercato, e chi lo nega è un ipocrita. In un quadro del genere il calciatore deve capire che il giochino è un po’ questo, senza montarsi la testa, semmai ringrazi il cielo per il dono che possiede, osannato dalla nostra società, che è quello di saper giocare a calcio, quindi lo sfrutti in maniera intelligente. I meccanismi innescati dai manager hanno tolto un po' quell'aura romantica che fino a qualche decennio fa era comune nel mondo del calcio. Oggi“Calciomercato l'originale” resta un po' un rifugio del calcio romantico? Per me è veramente la riserva indiana del calcio romantico in Italia, io vivo così e cerco di impostarlo di conseguenza, non intendo il calciomercato in sé, che sta vivendo un’esplosione mediatica proprio sui social, ma com parte di un contesto molto più grande. Quando vado in onda devo anche trovare un modo originale per trattare la materia, da un lato con le notizie e dall'altra con un racconto più universale, che parla di calcio ma anche di vita, perché poi il calcio è metafora della vita. Per me è meraviglioso, perché parlando di sport ho la possibilità di spaziare; lentamente ho inserito la scrittura e la musica, e quindi all'interno del programma trovi delle componenti che in altri programmi non esistono. Infatti trovo difficile pensare a parlare di informazione sportiva solamente parlando di cronaca sportiva, senza contestualizzarla nella società in cui viviamo, io vedo il calcio come una serie di connessioni tra esseri umani. Un giornalista che si occupi di politica, o di sport o di cronaca deve sentirsi sempre connesso con la realtà, perché non vive su un altro livello esistenziale, e devi tenere sempre gli occhi aperti su quello che ti sta succedendo intorno, quindi siccome io vivo di dirette, la prima domanda che mi faccio è: che cosa sta succedendo intorno a me? E penso in che maniera posso trattare alcuni argomenti all'interno di un programma che tendenzialmente parla soltanto di calcio. È il dovere di un giornalista. Mi rendo conto che molti specialisti della materia rifuggono questo dovere, io però penso che sia importante, infatti a me è capitato spesso di dover fronteggiare dei fatti di cronaca molto importanti durante una diretta - come l'attacco all'Ucraina o la tragedia di Rigopiano. Ci sono momenti in cui tra l'altro, è brutto dirlo, però è quasi esaltante fare il giornalista perché è lì che tiri fuori la tua sensibilità, perché qualsiasi aggettivo lo devi misurare, qualsiasi tono lo devi saper tirar fuori nella maniera giusta, cioè con il rispetto di quello che stai trattando. Quindi tornando al discorso di prima, quando mi chiedono “ma tu che hai, un programma di calcio?”No io faccio un programma che guarda alla vita. Nei suoi programmi ci sono sempre schiere di giornalisti enormi e questo secondo me li nobilita ulteriormente, da Condò a Marianella, Teotino ecc. Ma perché nella narrazione del grande giornalismo italiano vengono citati sempre Beppe Viola o Gianni Brera? Perché siamo rimasti lì nell'immaginario del giornalismo sportivo italiano? Non esistono giornalisti sportivi contemporanei di quel livello? Credo che ci siano, però prima il giornalista/scrittore era una figura che si occupava prevalentemente del racconto dello sport, perché esisteva soprattutto quello, cioè tu compravi il giornale e leggevi la cronaca della partita. Oggi leggere la cronaca partita è qualcosa che non ha veramente più senso, allora c'era chi ti raccontava la partita in maniera meravigliosa, te la faceva vivere e immaginare. Oggi quel racconto non ha senso perché trovi tutto sempre e ovunque, quindi si è un po' assottigliata la schiera di quei giornalisti. Tuttavia credo che esistano anche oggi, per quanto mi riguarda molti ce li abbiamo a Sky, perché penso che la qualità media dei giornalisti di Sky Sport sia veramente molto alta, sono tutti estremamente preparati e strutturati. Io poi prediligo il giornalista che per esempio adopera un linguaggio che mi fa un po' sognare. Tipo Bucciantini? Quando l'ho ascoltato la prima volta lui lavorava a L'Unità, ma io l'avevo ascoltato in un intervento in radio e mi ero anche sorpreso del fatto che non lo conoscessi nonostante lui fosse toscano come me, e aveva un modo diverso rispetto agli altri, motivo per cui l'ho immediatamente contattato. Gli ho chiesto di venire a fare il programma da me, ma non ci si conosceva, non sapevo neanche che faccia avesse. Episodio simile accadde con Federico Buffa che a Sky si occupava soltanto di sport americani ed NBA con Flavio (Tranquillo, ndr), l'avevo sentito esprimersi in una trasmissione di Milan Channel, e anche lì subito chiamai, abbiamo lavorato insieme un anno e mezzo e mi piaceva moltissimo, poi però ha preso altre strade e va bene così perché è un grandissimo. Ha intrapreso la carriera da solista. A tal proposito, vorrei fare una domanda ad Alessandro Bonan artista. Sull'onda di Sanremo è uscito Lucio Corsi, e quando l'ho visto ho detto: questo qui un giorno lo invitano sicuramente a “Calciomercato”. Perché in Toscana siete tutti artisti e poeti? Il toscano non ha paura di esprimersi, di tirar fuori quello che ha dentro, anzi il toscano è speciale perché ha un mondo interiore che mette a disposizione degli altri e capisci che questo significa avere a disposizione molti più colori. È una cosa straordinaria anche se a volte ci pone in una posizione di pericolo, perché io che mi sono trasferito dalla Toscana in Lombardia, ho vissuto questo aspetto: ho subito ogni sorta di incomprensione, cioè non far capire quello che voglio dire o fare, perché c'è un po' di timore che tu stia dicendo qualcosa che è un po' troppo avanti. In realtà non è che uno è più avanti di un altro, è che hai un altro istinto nel mettersi in gioco. Il toscano è così: conosce bene la parola, il suo significato e non ha timore ad usarla, anzi a volte è anche troppo diretto, e quindi può risultare spiacevole. Io sono nato e cresciuto in provincia, dove forse questo aspetto è più forte rispetto alla grande Firenze, alla grande città che vive anche sulla propria storia, e se vogliamo ha un senso di superiorità rispetto a noi abitanti della provincia, che da parte nostra invece abbiamo un senso della ribalta molto meno pronunciato, però è tutto così estremamente variegato, che il toscano ne trae grande forza. La provincia toscana cambia alla stessa velocità di Firenze? Oppure è più lenta o magari i cambiamenti arrivano tutti all'improvviso. I fiorentini sono abbastanza proiettati nel passato ma questa è anche la loro bellezza e poi arrivi a Firenze e ci trovi le botteghe, cioè queste cose che ormai nelle grandi città non ci sono più: c'è l'artigiano, la chiacchiera da bottega, è una cosa che io trovo straordinaria. Nella provincia secondo me il ritmo è più o meno lo stesso, quindi la differenza maggiore credo sia il senso di comunità che nella provincia sopravvive, e che ti mette in relazione a tante figure diverse, che poi sono quegli amici che ti porti per sempre, e rappresentano uno spaccato trasversale di quella comunità, senza differenza di categorie, c'è un grande rispetto reciproco dal punto di vista sociale e questa cosa io la trovo educativa e formativa, sia a livello personale che professionale. Invece come fa a far convivere la sua carriera professionale con la passione per la musica e per l'arte? Ho sempre frequentato la musica fin da ragazzo, però non mi ci sono applicato più di tanto, e imboccando la strada del giornalismo l’ho un po' mollata, così come la scrittura delle canzoni, anche se in quel momento i risultati erano altalenanti, perché sai, quando non fai una cosa in maniera convinta non viene benissimo. Poi mi trasferisco e mi concentro su altro per diversi anni, 25 per l’esattezza, lontano dalla musica. Lentamente ho ripreso, e allo stesso ritmo ho cominciato a ricomprare tutte le chitarre che avevo venduto, così mi è esplosa questa passione assoluta per la costruzione delle canzoni, infatti ne ho scritte un centinaio, oltre alle sigle del calciomercato. Quando facciamo i concerti cantiamo le mie canzoni, che non conosce nessuno, però c'è dell'interesse, e cerco di farlo in maniera professionale perché ci tengo e voglio divertirmi. I suoi riferimenti musicali chi sono? Mi sono formato con la West Coast, la musica country, ma non sono schematico su questo, apprezzo diversi generi e molti artisti: tra i preferiti ci metto i The Doors, sicuramente tutti gli album dei Doors, Bob Dylan, Mark Knopfler quindi i Dire Straits. Mi entusiasmo perché io ho sentito suonare la Fender con le dita soltanto da Dylan, lui nasce così, prendendo in mano la chitarra, esprime questo suono con quel gusto e quella capacità tecnica che mi conquista. Ma ci metto anche molti artisti italiani, che hanno giocato un ruolo cardine nella mia formazione musicale. Io non ho mai visto Sanremo, poi la sera di San Valentino vado allo stadio con la mia ragazza a vedere un epico Catanzaro-Cittadella, terzo tempo al pub, e sugli schermi c'era Lucio Corsi con topo Gigio, io non l'avevo mai sentito Lucio Corsi, e ho pensato che solo a immaginarla questa cosa, ci voleva una bella dose di poesia. Sì, proprio un vero artista. Cioè quando lo vedi esibirsi, lo vedi parlare, vedi questi occhi un po' stralunati e capisci che lì c'è l'artista. Chi ascolta volentieri tra gli artisti contemporanei? Ultimamente mi sto impegnando ad ascoltare la musica indie italiana; riflettendoci, forse ho perso un po' quella passione dell'ascolto che avevo prima, ma penso che forse quella roba lì sia finita con il digitale, cioè quando prima c'era il disco, c'era un oggetto fisico che diventava il tuo compagno per mesi, lo tenevi lì e lo riascoltavi anni dopo. Usciva il disco e la prima cosa che dovevi fare era andare a comprarlo, mi ricordo che uscì l’album di Neil Young e andai a Montecatini, perché ce l'avevano solo lì, sotto la pioggia battente rischiando di schiantarmi con la Vespa chissà quante volte, però dovevo avere quell'oggetto lì che materializza tutte le proprietà intangibili che contiene. Cover del singolo "Un'emozione a pelle" Non sono molto d'accordo, perché io compro costantemente dischi in vinile ancora oggi. Però il digitale secondo me non è da sottovalutare perché può offrire una qualità del suono molto alta, anche con i più famosi servizi di streaming musicale. Credo che il digitale non escluda l'analogico,anzi secondo me allarga l'offerta. Io non parlo di qualità, ma dell'oggetto in sé che ti porta ad avere il possesso di quel progetto, ti portava ad ascoltare di più. Adesso hai un accesso talmente rapido e talmente facile alla musica che corri il rischio di svalutarla, perché se puoi accedere a qualsiasi opera d'arte in maniera immediata, poi magari non riesci a valorizzarla. Per il resto ammetto che forse il mio discorso sia anche legato alla mia età e al fatto di appartenere ad una generazione diversa. Ma questa cosa è un po' come il giovane talento che arriva da zero nella grande squadra, fa due partite male, lo mandano in prestito in contesti dove c’è più pazienza di vederlo per bene, il brano non viene skippato dopo due secondi, ma viene ascoltato in maniera attenta, viene elaborato, percepito, così quel giocatore ha la possibilità di esprimersi e trova anche un terreno fertile per poter crescere in un certo modo. Paragone forzato ma vedo una dinamica simile. Sì è una relazione che ci può stare perché il mondo si è aperto così tanto che ormai hai la possibilità di vedere tutto e tutti, prima non sapevi se c'era effettivamente un grande talento dall'altra parte del mondo. Rimaneva nascosto fin quando poi magari non arrivava quel club che se lo portava in Europa nei campionati più importanti. Oggi tutti sanno tutto. Sembra tutto già visto, il bello della realtà di oggi e anche qualcosa che ti toglie un po' di sogni dalla testa. Cioè prima ti facevi un po' di viaggi con l'immaginazione che oggi magari non fai. Ai playoff di Champions è stata falciata quasi tutta la compagine italiana dalla Champions League. Ma il livello delle squadre italiane, forse ormai è quello dell'Europa League? Possiamo scordarci di arrivare in fondo in Champions con più di una squadra? Siamo troppo umorali su questo, andiamo ad analizzare anche come siamo usciti: il Milan si è fatto del male da solo perché perde giocando male all'andata contro il Feyenoord su una papera del portiere, domina il primo tempo in casa e potrebbe farne quattro, ma ne mette soltanto uno, comunque rientra nel secondo tempo in grande controllo, poi Theo cambia tutto e lì insomma il Milan trova l'eliminazione. L'Atalanta è la squadra che forse mi ha sorpreso di più in negativo, perché in Europa ci ha abituati in un certo modo, però è anche vero che non gli è andata benissimo, perché sicuramente non gioca una gran partita in Belgio ma gliela fanno perdere su un errore che definire clamoroso è poco. In casa forse presa dalla furia di dover recuperare, commette qualche errore e anche lì ogni episodio ha girato male. Poi arrivo alla Juventus e lì invece ci trovo un po' di limiti perché la Juve all’andata la vince ma non stravince, al ritorno fa un buon primo tempo un po' di posizione, e poi viene letteralmente travolta dal ritmo del PSV, che la Juventus non è riuscita a tenere mai né nel secondo tempo né durante i supplementari. Se vuoi vincere in Europa devi avere un ritmo completamente diverso, una velocità di esecuzione completamente diversa, il PSV ha mostrato una rapidità e una tecnica che non può che essere il frutto di un allenamento specifico, che purtroppo noi non portiamo. Infatti ad ogni serata post Champions sentiamo Mr Capello dire che questi hanno troppa intensità rispetto al campionato italiano, ma perché le squadre italiane non sviluppano gli anticorpi a questo gioco? Una serie di motivi: in Italia c'è troppa tattica, ti marcano stretto, ti raddoppiano o triplicano la marcatura, è vero che ci sono molti calciatori che giocando in Europa apprezzano il fatto di avere finalmente ho un po' di spazio. E in questo contesto ti abitui un po' a fare la giocata facile e dare il pallone al compagno vicino, a far quel tocco in più, anziché orientare sempre la sua giocata in verticale come dice Mr Fabio Capello. Secondo fatto, come si fischia in Italia? Purtroppo si fischia tutto, e il calciatore si abitua a cadere per terra ad ogni contatto, calcio di punizione e gioco fermo per un minuto. Però negli ultimi anni ho visto dei passi in avanti, tipo l'Atalanta ha fatto grandi progressi, ma ti dico anche il Bologna , che si è battuto con coraggio e ha fatto vedere che in Europa forse si può anche andare a giocare con quello spirito. Il calcio italiano come luogo di shopping per proprietà straniere. Come vede questo fenomeno? I fondi sono i grandi protagonisti del calcio di domani e quindi le figure dei presidenti, a cui io ovviamente non posso che essere affezionato, sono sempre più rare, anche se in Italia abbiamo ancora De Laurentiis, Lotito, la famiglia Agnelli, c'è l'Atalanta che secondo me è un modello interessante, perché è in mano ad un fondo americano ma il management è italiano con la famiglia Percassi, e questo connubio può essere una strada percorribile anche in altre realtà italiane. Quali novità vedremo nella prossima nell'edizione estiva di calciomercato? L'idea è quella di continuare sul modello itinerante che ci ha aperto veramente un mondo, perché significa modellare il programma anche in base alle suggestioni e agli stimoli culturali che le singole realtà ci pongono. Poi se ti devo dire la verità, mi piace arrivare sul posto e guardarmi intorno, respirare l'aria, godermi il paesaggio e a quel punto lì capisco che tipo di programma dobbiamo fare, perché pensarlo troppo prima significa rivederlo pesantemente, perché una volta sul posto ti arrivano delle sollecitazioni nuove e inaspettate. Questo fa un gran bene alla trasmissione, che oggi dal punto di vista delle notizie è come se fosse ormai un po' indietro, perché tutto quello che è successo nella giornata più o meno lo sai. Inoltre mi piacerebbe che la musica avesse ancora più spazio.

  • Climacool, o come i piloti di F1 smetteranno di perdere 4 kg ad ogni GP

    Cos'è e come funziona il nuovo sistema Adidas per la refrigerazione delle tute dei piloti Mercedes in F1 Con l'inizio della stagione 2025 di F1, Adidas ha introdotto una tecnologia rivoluzionaria che promette di ridefinire il modo in cui i piloti affrontano le condizioni estreme delle gare. Il sistema CLIMACOOL , sviluppato nel laboratorio di innovazione adidas, è stato progettato per migliorare la resistenza e le prestazioni dei piloti, affrontando una delle sfide più grandi dello sport: il calore. Cos'è il Sistema CLIMACOOL? Il sistema CLIMACOOL è composto da una giacca isolante e un gilet refrigerante, creati in collaborazione con INUTEQ, leader nel settore delle tecnologie di raffreddamento. Questo sistema combina materiali isolanti, agenti refrigeranti e ventole di raffreddamento per ridurre significativamente la temperatura della pelle e del corpo dei piloti. Nei test di laboratorio, il sistema ha dimostrato di essere quasi due volte più efficace rispetto ai tradizionali gilet di raffreddamento⁽¹⁾⁽²⁾. Perché è Importante per la Formula 1? Durante le gare, i piloti possono affrontare temperature interne all'abitacolo che raggiungono i 55-60 gradi Celsius , con una perdita di liquidi fino a 4,2 kg ⁽¹⁾⁽²⁾. Questo stress termico può influire negativamente sulle prestazioni cognitive e fisiche. Il sistema CLIMACOOL aiuta i piloti a mantenere una temperatura corporea ottimale, migliorando la concentrazione, il processo decisionale e la resistenza, che secondo i dati, l'uso del sistema può aumentare fino al 25% ⁽¹⁾⁽²⁾. Collaborazione con Mercedes-AMG PETRONAS Adidas ha stretto una partnership con il team Mercedes-AMG PETRONAS F1 , fornendo il sistema CLIMACOOL ai piloti George Russell e Kimi Antonelli⁽¹⁾⁽²⁾. Durante i test pre-stagionali in Bahrain, entrambi i piloti hanno utilizzato il sistema, riportando feedback positivi. La tecnologia sarà disponibile per tutte le gare in cui le condizioni climatiche potrebbero influire sulle prestazioni⁽¹⁾⁽²⁾. Impatto sul Futuro dello Sport L'introduzione del sistema CLIMACOOL rappresenta un passo avanti significativo non solo per la Formula 1, ma anche per altri sport che richiedono prestazioni elevate in condizioni estreme. Adidas sta dimostrando come l'innovazione tecnologica possa migliorare la sicurezza e le prestazioni degli atleti, aprendo la strada a ulteriori sviluppi nel mondo dello sport⁽¹⁾⁽²⁾. Peccato per il nome, vista la sua applicazione nel campionato sportivo che più di tutti contribuisce al riscaldamento globale. ⁽¹⁾: [adidas Brings Cooling Innovation to the Track in Melbourne](https://news.adidas.com/more-sports/adidas-brings-cooling-innovation-to-the-track-in-melbourne/s/048bd8c9-8336-42a2-875d-e1f128e8c9f2) ⁽²⁾: [adidas Brings Cooling Innovation to the Track in Melbourne](https://www.webwire.com/ViewPressRel.asp?aId=335557)

  • Si scrive Dazn, si legge Daz(i)n

    Sport e dazi USA, conseguenze trasversali per tutta l'industria Il 2025, doveva essere l'anno che nelle intenzioni doveva suggellare finalmente l'amore tra il calcio e gli USA. Il luogo in cui si giocherà la prima FIFA Club World Cup trasmessa dalla britannica Dazn, tra pochi mesi, e il mondiale per le nazionali l'anno prossimo, insomma il party perfetto. Ma qualcosa è andata storta, e come insegna la mia musa Tea Hacic" Tutto fa ridere finché non fa più ridere" . Lo sport è sempre stato un grande fattore politico e commerciale, lo abbiamo visto negli esempi classici delle olimpiadi del '36 e del '68, oppure nei mondiali del 2022, per fare un esempio recente. Edizione da cui siamo usciti più sporchi, sverginati, poiché c'è la sensazione che lo stesso gioco del calcio, e il suo campione più grande, siano stati noleggiati per soddisfare il fine di qualcun'altro. Se pensavi che le uniche cose che contassero nel mondo sportivo fossero le performance sul campo e il merchandising che naviga su fiumi di birra e Coca-Cola, beh, ti sbagliavi di grosso. Vignetta fatta in casa, in Italia Dazi e Media Sportivi Immagina di essere un’emittente sportiva statunitense, pronta a trasmettere la finale di Super Bowl in ultra-HD, con tutte le luci, le telecamere e l'energia che ci si aspetta da un evento di quelle dimensioni. Solito piano, soliti costi, solito spettacolo giusto? Ma poi arrivano i dazi e all'improvviso daii cavi HDMI alle attrezzature per la trasmissione, dai telefoni a qualsiasi tipo di schermo, tutto costa il doppio. Anche se guardi dentro un iphone c'è scritto Made in China. Secondo l’analisi di PricewaterhouseCoopers, l'imposizione dei dazi sugli apparecchi elettronici e sulle attrezzature per la trasmissione potrebbe ridurre i margini di profitto delle aziende statunitensi operanti nel settore dei media sportivi. Il tutto mentre i costi di trasmissione dei grandi eventi, da quelli più iconici come la NBA alla NFL, potrebbero crescere esponenzialmente. Una partita di basket che nel 2024 costava $100 milioni per essere trasmessa potrebbe arrivare a superare i $120 milioni, un incremento che inevitabilmente si rifletterà sui costi per i consumatori. Abbonamenti TV, si vola altissimo Se già Netflix pensava di aumentare il prezzo mensile per inglobare la F1 negli USA, dovrà rivedere i listini al rialzo a gara in corso, durante una virtual safety car qualsiasi, evitiamo quella vera perché è europea . L’aumento dei costi di trasmissione spingerà sicuramente a una crescita dei prezzi degli abbonamenti TV e delle piattaforme streaming, le quali non avranno altra scelta che far lievitare i costi per i consumatori, in TV come allo stadio. Già, un abbonamento base ora ti costerà quanto un abbonamento premium , con buona pace della "fan experience" che ci si aspettava. Questa dinamica è confermata dai numeri: Statista stima che nel 2024 gli Stati Uniti raggiungano un fatturato di €485,80 miliardi nel settore dei media, con il segmento TV e Video che da solo toccherà quasi la metà di questa cifra (€259,20 miliardi). E indovinate un po’? La crescita non è altro che una risposta agli aumenti dei costi operativi e all’aumento degli abbonamenti. A questo punto, sembra che guardare sport in TV o andare allo stadio negli USA diventerà un lusso per pochi, esattamente come abitare a NY, prendere la propria 500 (che è passata da 34k a 43k) per andare a comprare Parmigiano Reggiano Attrezzatura Sportiva: Dazi a Palla! E ora arriviamo al cuore del "gioco". Lo sport non è solo spettacolo e atleti superstar, è anche e soprattutto una questione di appassionati che spendono soldi propri per l'equipaggiamento sportivo amatoriale. Se pensavi che l’unica preoccupazione dei club fosse trovare il miglior atleta, preparati a una nuova realtà: i dazi sui materiali sportivi stanno cambiando il panorama delle attrezzature. Le attrezzature sportive importate, esattamente quelle che si usano per allenamenti, competizioni, o anche solo per un allenamento in palestra: come, palloni, racchette da tennis, biciclette e abbigliamento tecnico sono diventati molto più costosi da importare, soprattutto se provengono da paesi come la Cina e il Vietnam. Avete presente quelle scarpe con la sagoma di un giocatore da basket? Bene. Le cifre parlano chiaro: nel gennaio 2025, gli Stati Uniti hanno importato attrezzature sportive per un valore di 689 milioni di dollari, con la Cina che ha rappresentato la parte più consistente, con ben 381 milioni di dollari in attrezzature esportate. Secondo l'analisi della World Trade Organization, questi aumenti potrebbero ridurre del 10-15% il volume di attrezzature sportive importate negli Stati Uniti, con impatti diretti sui consumatori, che vedranno il cartellino degli articoli in negozio, corretto e ricorretto. E non parliamo solo delle attrezzature da gara; il settore fitness sta vedendo un aumento simile nei costi delle attrezzature per allenamenti domestici, un altro colpo per un Paese che soffre di obesità cronica con i problemi sanitari e sociali che ne derivano. Vignetta fatta in casa, in Italia Sponsorizzazioni: Europa, Ti Stiamo Guardando Se pensavate che i dazi non avrebbero intaccato il regno delle sponsorizzazioni, dove i grandi marchi europei sponsorizzano squadre americane, è il momento di fare un po' di attenzione. Adidas è technical sposnsor MLS, oltre che supplier di divise e palloni solo per restare nel calcio. Rakuten (JAP) main sponso dei Golde State Warriors, Tissot (SUI) cronometrista ufficiale NBA, ecc. ecc. Una quadro florido è improvvisamente diventato precario: le aziende europee, nonostante la loro presenza dominante, stanno vedendo una crescita dei costi sulle esportazioni negli USA. Con l’introduzione dei dazi, il prezzo delle maglie e dei prodotti sportivi che vengono dal Vecchio Continente diventa più alto, e di conseguenza la competitività delle aziende europee nel mercato statunitense diminuisce. Le sponsorizzazioni stanno diventando un po' un campo di battaglia, dove le aziende di casa nostra devono decidere se incrementare i loro investimenti o rivedere le strategie di mercato per far fronte alla nuova realtà commerciale. L’impatto sui marchi europei potrebbe essere sostanziale - con pesanti risvolti sui mercati e su eventuali tagli di personale - e questi potrebbero trovarsi a dover pagare di più per mantenere visibilità nelle arene americane. Potere e soldi giocano un ruolo cruciale – e nel caso dello sport, i dazi e quindi Trump, sono scivolati sulla scena rapidi e potenti come il professor Woland arrivò a Mosca, per organizzare il suo sabba. Non ci resta che prepararci per il ballo. Fonti PwC (PricewaterhouseCoopers) – Report sulle previsioni di mercato dei media sportivi e l’impatto dei dazi sulle emittenti televisive. Fonte: PwC Sports Market Outlook 2024-2025 Statista – Dati sui ricavi del settore media negli Stati Uniti e sulle previsioni di crescita del segmento TV e video. Fonte: Statista, U.S. Media Market Revenue 2024-2025 World Trade Organization (WTO) – Report sull’impatto delle tariffe doganali sulle importazioni di attrezzature sportive negli Stati Uniti. Fonte: WTO Trade Policy Review: United States, 2025 Dati sull'import di attrezzature sportive negli USA – Valori aggiornati sulle importazioni di articoli sportivi dalla Cina e da altri paesi. Fonte: U.S. Census Bureau – Trade Data on Sporting Goods Imports (January 2025) Analisi sponsorizzazioni e impatto economico sui brand europei – Case study su Adidas, Puma e altre aziende nel mercato sportivo statunitense. Fonte: Sports Business Journal – European Brands in U.S. Sports Sponsorships, 2025

  • Raffaele Ferraro: "Vi racconto la mia giornata tipo"

    Il protagonista della nostra prima intervista è Raffaele Ferraro, fondatore de La giornata tipo, punto di riferimento per la comunità cestistica italiana, con circa 330k followers su Instagram, 485k su facebook e 30k su Youtube, collaborazioni che vanno dalla serie A alla NBA, e un baule di cultura sportiva debordante, da snocciolare con un'ironia tagliente e occhio critico. Bolognese (ovviamente), gentilissimo e disponibile ad una call di buon mattino in un blue monday qualunque. Raffaele Ferraro, fondatore de La giornata tipo Buongiorno Raffaele, com’è nata la giornata tipo? Ho sempre giocato a basket, e prima ancora di facebook scrivevo sui forum, che venivano frequentati praticamente da tutti i giocatori, tecnici e arbitri locali. Nel 2012, quando le pagine sportive su facebook iniziarono a diventare popolari, ho creato “ La giornata tipo” nella quale descrivevo appunto una giornata tipo immaginaria di giocatori di basket, allenatori ecc. Il successo fu immediato, in poco tempo la pagina è arrivata subito a 4/5000 followers, ma nel giro di qualche mese ho capito che il format non era sostenibile e rischiava di annoiare il pubblico, pensa che mi annoiavo anche io a scriverle e quindi ho trasformato la pagina in uno spazio per il basket, senza limitarmi alla NBA o al campionato italiano.  A me piace parlare di basket a 360 gradi, e dentro voglio metterci di tutto, dalle superstar alle minors. Oggi il tuo progetto è presente su diversi canali: il sito web, youtube e i profili social, e produce contenuti molto diversi tra loro, come fai a gestire tutto? Hai una formazione giornalistica? La giornata tipo oggi vive tanto di collaborazioni, la prima con FIP è arrivata dopo circa tre anni dalla nascita, successivamente ne sono arrivate tante altre, tra cui quella con NBA, per la quale ho creato un documentario sulla città di Bologna, e la sua passione per il basket, lavoro di cui vado molto fiero. Per quanto riguarda la mia formazione, non sono un giornalista, ho una laurea in economia, e molte cose le ho imparate sul campo, su altre invece sono autodidatta e poi vengo aiutato anche da altre persone. Infatti sul sito ci sono molti articoli di approfondimento sul basket, scritti da collaboratori che hanno background completamente diversi, ed è un fattore molto positivo, perché ognuno porta un punto di vista diverso. Rispetto all’idea iniziale, com’è cambiato il tuo progetto? Ti aspettavi un successo del genere? Sinceramente quando ho iniziato per me era solo un hobby, e non pensavo a nessun tipo di sviluppo. Poi piano piano le cose sono cambiate, e mi sono ritrovato in mano questa creatura un po’ dal nulla che mi è esplosa in mano. Oggi abbiamo diverse collaborazioni in essere, creiamo video per la Serie A (l'ultimo su coach Poeta), andiamo anche fuori dall'Italia per girare dei reportage. E quindi oggi la giornata tipo esige che ci dedichi molto tempo e lavoro, ed è a tutti gli effetti diventata la mia occupazione principale. E per me è una cosa meravigliosa Ok, parliamo di basket. Lo scorso anno, in uno speech al forum di Assago prima di una partita di Eurolega, un dirigente dell’Olimpia Milano ha parlato dell’aspetto marketing e commerciale di un club di basket, soffermandosi sulla difficoltà della distribuzione del basket italiano a livello mediatico: soffermandosi sui diritti commerciali e i diritti tv. Qual è oggi lo stato di salute del basket italiano da questo punto di vista? Domanda tosta. In Italia la questione dei diritti tv è fondamentale, e sono d’accordo sul fatto che il basket italiano sia in difficoltà su questo punto, soprattutto confrontandosi con il calcio.  Inoltre il mercato oggi è dominato dall’NBA, che ha i giocatori migliori e il marketing più efficace. Lo possiamo constatare facilmente, soprattutto tra gli under 20, che conoscono tante squadre e tanti giocatori NBA, ma la grande maggioranza di loro non saprebbe nominarmi più di 5 giocatori della serie A o dell’Eurolega, che comunque è la seconda competizione a livello mondiale. Alla luce di questa situazione, perché prima di ogni Europeo, Mondiale o Olimpiade, pretendiamo che l’Italia faccia gli stessi risultati di Spagna, Francia o Argentina? A che livello è tecnicamente il basket italiano?   Guarda, potremmo stare qui a parlarne per tre ore, sia per la complessità del contesto, sia perché questo argomento mi sta particolarmente a cuore. Non so se hai fatto l’esempio con la Spagna come battuta, ma capita spesso di citarla in relazione al nostro Paese col quale ci sono molte similitudini a livello di territorio e popolazione. Il problema è che negli ultimi 20 anni, se confrontiamo il nostro palmares e il loro, a livello di nazionale (maschile e femminile, e giovanili), ci battono 100 a 1. Oggi abbiamo una nazionale con tanti buoni giocatori, che però non hanno l’abitudine a giocare partite importanti ai massimi livelli: abbiamo un solo giocatore in NBA e in Eurolega gli italiani che giocano da protagonisti sono meno delle dita di una mano. E quando arriviamo ai quarti degli Europei ad esempio, non riusciamo a fare quel salto in più, anche perché i nostri giocatori non sono abituati a giocare quel tipo di partite. La Francia ha 14 giocatori in NBA, molti dei quali giovanissimi, hanno un movimento in crescita esponenziale e il futuro è loro. Noi quando parliamo di NBA siamo fermi a Bargnani, Belinelli, Gallinari, e alle brevi esperienze di Melli e Datome. O al solo Fontecchio di oggi. Per molti il basket italiano avrebbe bisogno di un Sinner, nel senso di una grande vittoria che risvegli l’interesse popolare per quello sport. Vero. Ma per creare i Sinner (ma anche i Musetti, i Sonego, i Berrettini) occorre programmazione, investimento, e progettualità nel medio-lungo periodo. Ma Sinner non è caduto dal cielo, o meglio lui personalmente sì,  ma tecnicamente è il frutto del lavoro e della visione della Federazione italiana Tennis, che ha rivoluzionato il suo modus operandi, dai campi, ai tornei, alle selezioni, alla crescita dei giovani. La vision della federazione oggi qual è?  Non so, non lavoro in federazione. Sicuramente un aspetto sul quale occorre concentrarsi particolarmente è l'allargamento della base: se riuscissimo ad aumentare il numero di ragazzi che giocano a basket, avremmo più appassionati, tifosi, spettatori, e quindi maggiore competitività e appetibilità; tutto ciò farebbe aumentare la domanda di basket in Italia, dando una grossa mano a tutto il movimento, anche sulle questioni non strettamente legate al campo. Cambiamo argomento, quale sarà la finale NBA 2025? Difficile, io spero Oklahoma a Ovest, perché ha tutto per poter vincere e perché ha portato avanti un bel progetto tecnico, in cui ha saputo rinnovare e trasformarsi, ha avuto pazienza e ha costruito la squadra che gioca il basket più bello ed efficace. A Est una tra Boston, Milwaukee, New York e Cleveland In questi giorni ricorre il quinto anniversario della morte di Kobe. Tra i pochi atleti NBA che ho avuto l'onore di conoscere. L’ho conosciuto nel 2019, era venuto in Italia per un evento del suo sponsor a Milano, e il giorno dopo ha voluto organizzare un evento a Reggio Emilia, in cui ha incontrato senza barriere e senza filtri un sacco di persone. Io ho avuto modo di parlarci un minuto, in un clima molto bello, quasi familiare, in cui lui si sentiva veramente a casa. La cosa che più mi ha colpito di quella esperienza è stata trovare una persona normale, limpida e senza barriere, che non aveva nulla della superstar mondiale, poteva sembrare al massimo un giocatore di serie B, che non se la tirava e stava in mezzo agli altri come se nulla fosse. Poi come giocatore, parliamo di uno dei più grandi della storia, che ha vissuto tutta la sua carriera in un modo spaventoso per l’etica del lavoro ossessiva che ci ha messo, sacrificando tutto: dal sonno alla famiglia, le figlie e i piaceri di una vita normale. Quando si è ritirato, ha iniziato finalmente a rilassarsi e a veder crescere le figlie, concentrarsi ai suoi progetti e a vivere serenamente il secondo tempo della sua vita, prima che finisse in quel modo drammatico. Io ho cominciato a seguire il basket da bambino abbagliato dalla figura di Shaq, e Kobe di conseguenza, e oggi mi dispiace vedere quanto sia strumentalizzato e inflazionato il concetto di mamba mentality . Vero, perché è diventato uno slogan sfruttato a livello commerciale in maniera eccessiva, e soprattutto perché si eccede nel messaggio che voleva dare originariamente. Non puoi dire ad un ragazzo che se vuole giocare a basket deve fare come Bryant, svegliarsi alle 3 del mattino, andare in palestra e fare cinquantamila tiri, giorno dopo giorno per 25 anni, non esiste, e non riuscirebbe a reggerlo. Sono pochissimi gli atleti nella storia di tutti gli sport che si sono sottoposti ad allenamenti del genere e che riescono a sopportare certi ritmi. Hai detto di essere di Bologna, quindi la domanda è d’obbligo: Fortitudo o Virtus? Io da piccolo seguivo la Fortitudo di Myers e Fucka A Bologna devi scegliere per forza, la mia scelta è stata il bianco...... Quella Fortitudo era una gran bella squadra, e praticamente quei roster con i vari Myers, Fucka, Galanda, Meneghin, e poi Basile, Pozzecco erano spesso in gran parte quelli dalla nazionale. Spero che la Fortitudo torni in Serie A, perché il derby di Bologna è uno dei grandi spettacoli del basket italiano, ne ho parlato anche nel documentario che abbiamo creato per NBA, e manca da troppo tempo. Non solo per la città di Bologna, ma il basket italiano ha bisogno che si torni a giocare questa partita. In ogni caso facendo un lavoro come il mio, non puoi tifare, non puoi sostenere una squadra, e senza alcun tipo di retorica, oggi posso dire che tifo per il basket. Quali sono i progetti futuri de La Giornata tipo? Vogliamo continuare su questa strada, ma se devo indicare una cosa in particolare, vorrei creare un evento per raccogliere tutti gli appassionati di basket che ci seguono, una giornata tutta per loro. E poi vorrei continuare a realizzare documentari come quelli che ho avuto l’onore di fare, magari ancora con NBA perché è una cosa molto bella e mi piace in modo particolare.

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