The freewheelin': Bonan
- giuseppe domenico barba
- 6 mar
- Tempo di lettura: 12 min
Aggiornamento: 7 apr
Conversazione a ruota libera con Alessandro Bonan, storico giornalista sportivo e colonna di Sky Sport, conduttore del celebre Calciomercato l'Originale, e cantautore. Tra Toscana, musica e arte, abbiamo pparlate anche di calcio.
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Il primo contatto tramite i DM di Instagram lo mando in pieno fervore da calciomercato in un gennaio calcisticamente torrido, e infatti la risposta è "ok, ma scrivimi a febbraio", da lì troviamo un'oretta libera un venerdì sera. Amo il venerdì sera, perché così come i tramonti, si porta dietro un carico di promesse. La nostra call fila via che è una bellezza, e in men che non si dica era già passata un'ora. Ci salutiamo con la promessa di farne un'altra parlando solo di musica, magari rock e hard rock
Lei ha attraversato intere decadi di giornalismo sportivo, dagli anni '90 con Telepiù a oggi, come è cambiato il modo di raccontare il calcio in Italia?
È cambiato molto perché è cambiata la fruizione della comunicazione, quando ho cominciato, internet aveva fatto capo, dopo qualche anno nasce Sky Sport 24 che fornisce il servizio di un flusso di news costante 24/7 e anche questo aggiunge un tassello importante. Infine nascono i social che hanno determinato un cambiamento radicale del racconto dello sport, tanto da far apparire la TV un mezzo un po' superato, e rispetto ai miei esordi è come vivere una rivoluzione copernicana.
Però è anche vero che con l'invecchiamento della popolazione, la tv possiede un valore centrale all'interno del focolare domestico, e resta sempre il media principale in una casa.
In quei programmi dove è ancora predominante la diretta, la tv ha un suo ritmo di verità che invece i social non hanno, perché lì la verità te la costruisci quasi da solo, e questo può essere un problema perché un giovane che si relaziona ai social non vede la verità dei fatti, ma si trova di fronte ad una rappresentazione mediata da qualcosa che viene spesso costruito. Questo può far scaturire anche un'idea di sè stesso sbagliata, del tipo “sono superato, ho vent'anni non ho ancora fatto come qualche coetaneo con milioni di follower”.
A volte questi ragazzi sono giovani calciatori che magari dopo una stagione al top diventano delle superstar. Superstar in balia di genitori, manager e agenti, che spesso anche involontariamente fanno il male di questi atleti. Come si comunica con un Kvara rispetto ad un Luka Modric?
Io non dimentico mai che sto parlando con ragazzi di vent'anni, anche perché se penso a com'ero io a vent'anni figuriamoci, so perfettamente che il calciatore di vent'anni ha una mente più libera; certo, se riesci ad avere la sensibilità di modulare la comunicazione tenendo conto del suo contesto: frequentazioni, il tipo di famiglia alle spalle, il tipo di cultura, invita - almeno il sottoscritto - ad una prudenza nei suoi confronti.
Difficilmente ho una critica tranchant nei confronti di un giovane, cerco sempre l'arma dell'ironia quella sì, però non in maniera troppo verticale su di lui. I giovani campioni del calcio vivono una realtà profondamente drogata dai soldi, e devono stare molto attenti a come questi vengono spostati dal manager, ruolo che ha assunto una centralità che prima non aveva, essendo oggi l’assurda causa della miriade di affari di un eterno calciomercato, e chi lo nega è un ipocrita. In un quadro del genere il calciatore deve capire che il giochino è un po’ questo, senza montarsi la testa, semmai ringrazi il cielo per il dono che possiede, osannato dalla nostra società, che è quello di saper giocare a calcio, quindi lo sfrutti in maniera intelligente.
I meccanismi innescati dai manager hanno tolto un po' quell'aura romantica che fino a qualche decennio fa era comune nel mondo del calcio. Oggi“Calciomercato l'originale” resta un po' un rifugio del calcio romantico?
Per me è veramente la riserva indiana del calcio romantico in Italia, io vivo così e cerco di impostarlo di conseguenza, non intendo il calciomercato in sé, che sta vivendo un’esplosione mediatica proprio sui social, ma com parte di un contesto molto più grande. Quando vado in onda devo anche trovare un modo originale per trattare la materia, da un lato con le notizie e dall'altra con un racconto più universale, che parla di calcio ma anche di vita, perché poi il calcio è metafora della vita. Per me è meraviglioso, perché parlando di sport ho la possibilità di spaziare; lentamente ho inserito la scrittura e la musica, e quindi all'interno del programma trovi delle componenti che in altri programmi non esistono.
Infatti trovo difficile pensare a parlare di informazione sportiva solamente parlando di cronaca sportiva, senza contestualizzarla nella società in cui viviamo, io vedo il calcio come una serie di connessioni tra esseri umani.
Un giornalista che si occupi di politica, o di sport o di cronaca deve sentirsi sempre connesso con la realtà, perché non vive su un altro livello esistenziale, e devi tenere sempre gli occhi aperti su quello che ti sta succedendo intorno, quindi siccome io vivo di dirette, la prima domanda che mi faccio è: che cosa sta succedendo intorno a me? E penso in che maniera posso trattare alcuni argomenti all'interno di un programma che tendenzialmente parla soltanto di calcio. È il dovere di un giornalista. Mi rendo conto che molti specialisti della materia rifuggono questo dovere, io però penso che sia importante, infatti a me è
capitato spesso di dover fronteggiare dei fatti di cronaca molto importanti durante una diretta - come l'attacco all'Ucraina o la tragedia di Rigopiano. Ci sono momenti in cui tra l'altro, è brutto dirlo, però è quasi esaltante fare il giornalista perché è lì che tiri fuori la tua sensibilità, perché qualsiasi aggettivo lo devi misurare, qualsiasi tono lo devi saper tirar fuori nella maniera giusta, cioè con il rispetto di quello che stai trattando. Quindi tornando al discorso di prima, quando mi chiedono “ma tu che hai, un programma di
calcio?”No io faccio un programma che guarda alla vita.
Nei suoi programmi ci sono sempre schiere di giornalisti enormi e questo secondo me li nobilita ulteriormente, da Condò a Marianella, Teotino ecc. Ma perché nella narrazione del grande giornalismo italiano vengono citati sempre Beppe Viola o Gianni Brera? Perché siamo rimasti lì nell'immaginario del giornalismo sportivo italiano? Non esistono giornalisti sportivi contemporanei di quel livello?
Credo che ci siano, però prima il giornalista/scrittore era una figura che si occupava prevalentemente del racconto dello sport, perché esisteva soprattutto quello, cioè tu compravi il giornale e leggevi la cronaca della partita. Oggi leggere la cronaca partita è qualcosa che non ha veramente più senso, allora c'era chi ti raccontava la partita in maniera meravigliosa, te la faceva vivere e immaginare. Oggi quel racconto non ha senso perché trovi tutto sempre e ovunque, quindi si è un po' assottigliata la schiera di quei giornalisti.
Tuttavia credo che esistano anche oggi, per quanto mi riguarda molti ce li abbiamo a Sky, perché penso che la qualità media dei giornalisti di Sky Sport sia veramente molto alta, sono tutti estremamente preparati e strutturati. Io poi prediligo il giornalista che per esempio adopera un linguaggio che mi fa un po' sognare.
Tipo Bucciantini?
Quando l'ho ascoltato la prima volta lui lavorava a L'Unità, ma io l'avevo ascoltato in un intervento in radio e mi ero anche sorpreso del fatto che non lo conoscessi nonostante lui fosse toscano come me, e aveva un modo diverso rispetto agli altri, motivo per cui l'ho immediatamente contattato. Gli ho chiesto di venire a fare il programma da me, ma non ci si conosceva, non sapevo neanche che faccia avesse. Episodio simile accadde con Federico Buffa che a Sky si occupava soltanto di sport americani ed NBA con Flavio (Tranquillo, ndr), l'avevo sentito esprimersi in una trasmissione di Milan Channel, e anche lì subito chiamai, abbiamo lavorato insieme un anno e mezzo e mi piaceva moltissimo, poi però ha preso altre strade e va bene così perché è un grandissimo.
Ha intrapreso la carriera da solista. A tal proposito, vorrei fare una domanda ad Alessandro Bonan artista. Sull'onda di Sanremo è uscito Lucio Corsi, e quando l'ho visto ho detto: questo qui un giorno lo invitano sicuramente a “Calciomercato”. Perché in Toscana siete tutti artisti e poeti?
Il toscano non ha paura di esprimersi, di tirar fuori quello che ha dentro, anzi il toscano è speciale perché ha un mondo interiore che mette a disposizione degli altri e capisci che questo significa avere a disposizione molti più colori. È una cosa straordinaria anche se a volte ci pone in una posizione di pericolo, perché io che mi sono trasferito dalla Toscana in Lombardia, ho vissuto questo aspetto: ho subito ogni sorta di incomprensione, cioè non far capire quello che voglio dire o fare, perché c'è un po' di timore che tu stia dicendo qualcosa che è un po' troppo avanti. In realtà non è che uno è più avanti di un altro, è che hai un altro istinto nel mettersi in gioco. Il toscano è così: conosce bene la parola, il suo significato e non ha timore ad usarla, anzi a volte è anche troppo diretto, e quindi può risultare spiacevole. Io sono nato e cresciuto in provincia, dove forse questo aspetto è più forte rispetto alla grande Firenze, alla grande città che vive anche sulla propria storia, e se vogliamo ha un senso di superiorità rispetto a noi abitanti della provincia, che da parte nostra invece abbiamo un senso della ribalta molto meno pronunciato, però è tutto così estremamente variegato, che il toscano ne trae grande forza.
La provincia toscana cambia alla stessa velocità di Firenze? Oppure è più lenta o magari i cambiamenti arrivano tutti all'improvviso.
I fiorentini sono abbastanza proiettati nel passato ma questa è anche la loro bellezza e poi arrivi a Firenze e ci trovi le botteghe, cioè queste cose che ormai nelle grandi città non ci sono più: c'è l'artigiano, la chiacchiera da bottega, è una cosa che io trovo straordinaria. Nella provincia secondo me il ritmo è più o meno lo stesso, quindi la differenza maggiore credo sia il senso di comunità che nella provincia sopravvive, e che ti mette in relazione a tante figure diverse, che poi sono quegli amici che ti porti per sempre, e
rappresentano uno spaccato trasversale di quella comunità, senza differenza di categorie, c'è un grande rispetto reciproco dal punto di vista sociale e questa cosa io la trovo educativa e formativa, sia a livello personale che professionale.
Invece come fa a far convivere la sua carriera professionale con la passione per la musica e per l'arte?
Ho sempre frequentato la musica fin da ragazzo, però non mi ci sono applicato più di tanto, e imboccando la strada del giornalismo l’ho un po' mollata, così come la scrittura delle canzoni, anche se in quel momento i risultati erano altalenanti, perché sai, quando non fai una cosa in maniera convinta non viene benissimo. Poi mi trasferisco e mi concentro su altro per diversi anni, 25 per l’esattezza, lontano dalla musica. Lentamente ho ripreso, e allo stesso ritmo ho cominciato a ricomprare tutte le chitarre che avevo venduto, così mi è
esplosa questa passione assoluta per la costruzione delle canzoni, infatti ne ho scritte un centinaio, oltre alle sigle del calciomercato. Quando facciamo i concerti cantiamo le mie canzoni, che non conosce nessuno, però c'è dell'interesse, e cerco di farlo in maniera professionale perché ci tengo e voglio divertirmi.
I suoi riferimenti musicali chi sono?
Mi sono formato con la West Coast, la musica country, ma non sono schematico su questo, apprezzo diversi generi e molti artisti: tra i preferiti ci metto i The Doors, sicuramente tutti gli album dei Doors, Bob Dylan, Mark Knopfler quindi i Dire Straits. Mi entusiasmo perché io ho sentito suonare la Fender con le dita soltanto da Dylan, lui nasce così, prendendo in mano la chitarra, esprime questo suono con quel gusto e quella capacità tecnica che mi conquista. Ma ci metto anche molti artisti italiani, che hanno giocato un ruolo cardine nella mia formazione musicale.
Io non ho mai visto Sanremo, poi la sera di San Valentino vado allo stadio con la mia ragazza a vedere un epico Catanzaro-Cittadella, terzo tempo al pub, e sugli schermi c'era Lucio Corsi con topo Gigio, io non l'avevo mai sentito Lucio Corsi, e ho pensato che solo a immaginarla questa cosa, ci voleva una bella dose di poesia.
Sì, proprio un vero artista. Cioè quando lo vedi esibirsi, lo vedi parlare, vedi questi occhi un po' stralunati e capisci che lì c'è l'artista.
Chi ascolta volentieri tra gli artisti contemporanei?
Ultimamente mi sto impegnando ad ascoltare la musica indie italiana; riflettendoci, forse ho perso un po' quella passione dell'ascolto che avevo prima, ma penso che forse quella roba lì sia finita con il digitale, cioè quando prima c'era il disco, c'era un oggetto fisico che diventava il tuo compagno per mesi, lo tenevi lì e lo riascoltavi anni dopo. Usciva il disco e la prima cosa che dovevi fare era andare a comprarlo, mi ricordo che uscì l’album di Neil Young e andai a Montecatini, perché ce l'avevano solo lì, sotto la pioggia battente rischiando di schiantarmi con la Vespa chissà quante volte, però dovevo avere quell'oggetto lì che materializza tutte le proprietà intangibili che contiene.

Non sono molto d'accordo, perché io compro costantemente dischi in vinile ancora oggi. Però il digitale secondo me non è da sottovalutare perché può offrire una qualità del suono molto alta, anche con i più famosi servizi di streaming musicale. Credo che il digitale non escluda l'analogico,anzi secondo me allarga l'offerta.
Io non parlo di qualità, ma dell'oggetto in sé che ti porta ad avere il possesso di quel progetto, ti portava ad ascoltare di più. Adesso hai un accesso talmente rapido e talmente facile alla musica che corri il rischio di svalutarla, perché se puoi accedere a qualsiasi opera d'arte in maniera immediata, poi magari non riesci a valorizzarla. Per il resto ammetto che forse il mio discorso sia anche legato alla mia età e al fatto di appartenere ad una generazione diversa.
Ma questa cosa è un po' come il giovane talento che arriva da zero nella grande squadra, fa due partite male, lo mandano in prestito in contesti dove c’è più pazienza di vederlo per bene, il brano non viene skippato dopo due secondi, ma viene ascoltato in maniera attenta, viene elaborato, percepito, così quel giocatore ha la possibilità di esprimersi e trova anche un terreno fertile per poter crescere in un certo modo. Paragone forzato ma vedo una dinamica simile.
Sì è una relazione che ci può stare perché il mondo si è aperto così tanto che ormai hai la possibilità di vedere tutto e tutti, prima non sapevi se c'era effettivamente un grande talento dall'altra parte del mondo. Rimaneva nascosto fin quando poi magari non arrivava quel club che se lo portava in Europa nei campionati più importanti. Oggi tutti sanno tutto. Sembra tutto già visto, il bello della realtà di oggi e anche qualcosa che ti toglie un po' di sogni dalla testa. Cioè prima ti facevi un po' di viaggi con l'immaginazione che oggi magari non fai.
Ai playoff di Champions è stata falciata quasi tutta la compagine italiana dalla Champions League. Ma il livello delle squadre italiane, forse ormai è quello dell'Europa League? Possiamo scordarci di arrivare in fondo in Champions con più di una squadra?
Siamo troppo umorali su questo, andiamo ad analizzare anche come siamo usciti: il Milan si è fatto del male da solo perché perde giocando male all'andata contro il Feyenoord su una papera del portiere, domina il primo tempo in casa e potrebbe farne quattro, ma ne mette soltanto uno, comunque rientra nel secondo tempo in grande controllo, poi Theo cambia tutto e lì insomma il Milan trova l'eliminazione. L'Atalanta è la squadra che forse mi ha sorpreso di più in negativo, perché in Europa ci ha abituati in un certo modo, però è
anche vero che non gli è andata benissimo, perché sicuramente non gioca una gran partita in Belgio ma gliela fanno perdere su un errore che definire clamoroso è poco. In casa forse presa dalla furia di dover recuperare, commette qualche errore e anche lì ogni episodio ha girato male. Poi arrivo alla Juventus e lì invece ci trovo un po' di limiti perché la Juve all’andata la vince ma non stravince, al ritorno fa un buon primo tempo un po' di posizione, e poi viene letteralmente travolta dal ritmo del PSV, che la Juventus non è riuscita a tenere mai né nel secondo tempo né durante i supplementari. Se vuoi vincere in Europa devi avere un ritmo completamente diverso, una velocità di esecuzione completamente diversa, il PSV ha mostrato una rapidità e una tecnica che non può che essere il frutto di un allenamento specifico, che purtroppo noi non portiamo.
Infatti ad ogni serata post Champions sentiamo Mr Capello dire che questi hanno troppa intensità rispetto al campionato italiano, ma perché le squadre italiane non sviluppano gli anticorpi a questo gioco?
Una serie di motivi: in Italia c'è troppa tattica, ti marcano stretto, ti raddoppiano o triplicano la marcatura, è vero che ci sono molti calciatori che giocando in Europa apprezzano il fatto di avere finalmente ho un po' di spazio. E in questo contesto ti abitui un po' a fare la giocata facile e dare il pallone al compagno vicino, a far quel tocco in più, anziché orientare sempre la sua giocata in verticale come dice Mr Fabio Capello. Secondo fatto, come si fischia in Italia? Purtroppo si fischia tutto, e il calciatore si abitua a cadere per terra ad ogni contatto, calcio di punizione e gioco fermo per un minuto. Però negli ultimi anni ho visto dei passi in avanti, tipo l'Atalanta ha fatto grandi progressi, ma ti dico anche il Bologna , che si è battuto con coraggio e ha fatto vedere che in Europa forse si può anche andare a giocare con quello spirito.
Il calcio italiano come luogo di shopping per proprietà straniere. Come vede questo fenomeno?
I fondi sono i grandi protagonisti del calcio di domani e quindi le figure dei presidenti, a cui io ovviamente non posso che essere affezionato, sono sempre più rare, anche se in Italia abbiamo ancora De Laurentiis, Lotito, la famiglia Agnelli, c'è l'Atalanta che secondo me è un modello interessante, perché è in mano ad un fondo americano ma il management è italiano con la famiglia Percassi, e questo connubio può essere una strada percorribile anche in altre realtà italiane.
Quali novità vedremo nella prossima nell'edizione estiva di calciomercato?
L'idea è quella di continuare sul modello itinerante che ci ha aperto veramente un mondo, perché significa modellare il programma anche in base alle suggestioni e agli stimoli culturali che le singole realtà ci pongono. Poi se ti devo dire la verità, mi piace arrivare sul posto e guardarmi intorno, respirare l'aria, godermi il paesaggio e a quel punto lì capisco che tipo di programma dobbiamo fare, perché pensarlo troppo prima significa rivederlo pesantemente, perché una volta sul posto ti arrivano delle sollecitazioni nuove e inaspettate. Questo fa un gran bene alla trasmissione, che oggi dal punto di vista delle notizie è come se fosse ormai un po' indietro, perché tutto quello che è successo nella giornata più o meno lo sai. Inoltre mi piacerebbe che la musica avesse ancora più spazio.
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