Paolo Morganti, dalla Juve a CEO del Catanzaro
- giuseppe domenico barba
- 20 feb
- Tempo di lettura: 10 min
Aggiornamento: 7 apr
Intervista con il CEO del Catanzaro, squadra rivelazione di Serie B, tra vision, programmazione e un concetto di calcio sostenibile
Scrivo al suo indirizzo email, chiedendo un'intervista, pensando di riscrivergli dopo una settimana per sollecitare una risposta, invece qualche ora dopo ricevo un'email in cui la mia richiesta veniva soddisfatta, e giusto qualche giorno dopo ci troviamo in call. Si presenta in giacca e cravatta, sullo sfondo un enorme poster che ritrae un'esultanza dopo qualche gol. Paolo Morganti arriva da una lunga esperienza alla Juve, in cui si è occupato della gestione delle strutture del club e del settore giovanile. Una figura in cui si esige una certa apertura mentale e una visione a lungo termine, per poter progettare, anticipare e farsi trovare con l'ombrello in mano nei giorni di pioggia. Oggi è il nuovo CEO del Catanzaro, club al secondo anno consecutivo di Serie B, che si sta riconfermando ad alti livelli, dopo la semifinale playoff giocata da neopromossa.
Voglio partire dei temi stadio, infrastrutture e settore giovanile. Lei arriva dalla Juventus che è una delle pochissime squadre italiane ad avere uno stadio di proprietà, un centro sportivo all'avanguardia, multifunzionale, e un settore giovanile molto sviluppato. Però, a parte quella società e pochissime altre qual è la situazione del calcio italiano da questo punto di vista?
Credo che la situazione del calcio italiano guardando i numeri non sia florida, da un punto di vista del bilancio infatti le squadre in serie A, B e C ogni anno subiscono diverse perdite sicuramente, ed estendo il ragionamento a livello europeo, c'è una grossa difficoltà a gestire una squadra di calcio. Lo sottolineo perché a mio avviso oggi siamo in presenza di due gran macro aree: una nordamericana e una europea, la prima vive di leghe in cui vige il salary cap, insieme ad altri strumenti di controllo che legano gli emolumenti dei tesserati a diversi parametri. Oltre a questa è diversa la struttura dei campionati, che non prevedono promozioni e retrocessioni. Il modello europeo invece è basato naturalmente sulla competizione, portando i club ad innalzare sempre di più l'asticella per poter vincere, e questo fa crescere in maniera importante i salari dei tesserati. In Europa abbiamo dei sistemi per sorvegliare questi meccanismi, noi ad esempio lavoriamo su degli indicatori di liquidità, di indebitamento ecc. Probabilmente questi parametri non hanno ancora funzionato al massimo perché il nostro sistema è ancora un po' crisi, banalmente oggi l'indicatore di liquidità delle squadre italiane si aggira tra 0.6/0.7 quando il minimo per un'azienda dovrebbe essere 1: cioè le attività correnti dovrebbero essere in euqilibrio rispetto alle passività correnti nell'arco temporale di 12 mesi. Questo è un aspetto da approfondire soprattutto nelle leghe inferiori, perché la serie A ha altre prospettive grazie alle coppe e i diritti tv, e deve stare al passo anche con le altre squadre europee. A sostegno di questo pensiero io credo che sia fondamentale tendere ad una sostenibilità nel lungo periodo, e in questo naturalmente sono fondamentali due aspetti di strategia: infrastrutture e settori giovanili. Se tu prendi il bilancio di una società, all’interno dell'attivo dello stato patrimoniale trovi solo i calciatori, il cui valore è molto volatile, difficilmente tangibile. Quindi le società si devono “patrimonializzare” e l'unico modo per farlo è attraverso le infrastrutture, e investire sulla seconda squadra e il settore giovanile. La Juve, ad esempio, sotto la guida del presidente Agnelli ha raggiunto molti di questi obiettivi, che hanno lanciato il club in un futuro di alto livello europeo, che oggi è il presente. Ma a quel livello, questo ragionamento rappresenta la base di costruzione e in generale in Italia questo siamo veramente indietro già su questo.
In Italia molto spesso, grandi progetti per gli stadi, vengono rallentati o cancellati, quando ci si trova davanti al vincolo della soprintendenza, come successo ad esempio per il secondo anello a San Siro, lo stadio di Bologna, lo stadio di Firenze, lo stadio Flaminio perché è stato fatto da Pierluigi Nervi ecc. Come se ne esce da questa situazione?
È difficile, bisogna avere equilibrio. Io sinceramente da manager devo anche essere anche in grado di non far svalutare un bene, capire se lo voglio conservare e se lo ritengo necessario, e se quel bene rappresenta la storia di una città ci metto un vincolo. Sinceramente ci sono tanti manufatti in condizioni pessime che hanno dei vincoli, e con tante bellezze che ci sono in Italia con una storia millenaria, vincolare alcune situazioni meno importanti mi sembra una strategia a perdere, oltre al fatto che si tolgono risorse ad altri monumenti che invece rappresentano davvero la storia del nostro Paese.
Parlando con amici catanzaresi ogni tanto chiedo cosa ne pensano di un restauro o una demolizione del loro stadio, per sostituirlo con uno più bello e moderno, e mi prendono per pazzo, mi dicono che lo stadio Ceravolo è la storia. Ho capito: ma se a Londra hanno demolito Wembley vivaddio,perché non si può lavorare sugli stadi di provincia.
Anche qui bisogna trovare un giusto equilibrio, guardare al futuro tenendo un piede nella storia perché quello rappresenta la nostra cultura, l’attaccamento a certi valori. Tuttavia questo si può fare benissimo, come dici tu, se lo hanno fatto a Wembley lo possono fare tutti quanti
Vista la sua esperienza anche nei settori giovanili e nelle infrastrutture, la scelta del presidente di prendere Morganti è anche legata ad una strategia del club a investire in questo senso?
Credo che il presidente non faccia nulla per caso, da imprenditore sa che ci vogliono delle basi ben solide sulle quali strutturare una società, e poi ci vuole tempo: questi sono due punti fondamentali. Le infrastrutture e i settori giovanili hanno bisogno di n anni per poter riuscire ad ottenere un obiettivo per svariati motivi , bisogna iniziare mettendo giù le prime le prime pietre di questo sviluppo. E questo processo si fa con la programmazione, individuando degli obiettivi fondamentali e andando ad analizzare quant'è lo spostamento da questi obiettivi attraverso dei KPI, che devono essere il più oggettivi possibile. Per le infrastrutture è più facile, perché lavori con degli obiettivi oggettivi. Per i settori giovanili, lavorando con le persone e con un territorio, devi cercare di trovare dei parametri, ed è più difficile riuscire a trovare dei KPI a lungo termine. Perché il tema che si è sempre aperto nei settori giovanili è: vincere per formare o formare per vincere? Ovvero qual è il KPI che mi permette di dire sono arrivato a un certo livello? Se vinco i campionati senza una crescita per me questa è una strada senza un futuro, il tema vero è la formazione nel settore giovanile. Noi dobbiamo ripartire dalla formazione. Io dico sempre che noi facciamo calcio, siamo una squadra di calcio e dobbiamo fare questo. Vedo in giro un graduale abbandono del progetto sportivo, le società devono avere l'idea principale di sviluppare un proprio progetto sportivo che naturalmente è differente da qualsiasi realtà. Alcune volte il progetto sportivo viene alla fine di un percorso di analisi economica e di tempistiche, invece abbiamo sempre fatto un ragionamento al contrario, ovvero un ragionamento sugli obiettivi e sulle strategie sportive che poi declinerà ad ogni società.
A proposito di strategie, perché gli stadi, che sono gli edifici più grandi della città vengono tenuti aperti solamente due giorni al mese, cioè nelle due partite in casa? Perché non si cerca di creare una struttura che possa essere aperta, e fornire servizi e spazi anche alla collettività, ogni giorno della settimana? Ad Amsterdam, per la Johann Cruijff Arena, hanno un modello di ownership, quindi di proprietà dello stadio, ibrida, che non è né della società e né della città di Amsterdam. Hanno creato una società terza in cui i maggiori azionisti sono la città di Amsterdam e l'Ajax, dentro ci sono anche diversi azionisti istituzionali e privati. Ogni anno in quello stadio si tengono 125 eventi, di cui 25 sono le partite dell'Ajax, il resto sono eventi di varia natura, e loro molto candidamente dicono: una società di calcio deve fare calcio, come sta dicendo lei. Non deve fare organizzazione di eventi, business, ecc. Questa parte lasciamola gestire ad altri, però allo stesso tempo c'è la necessità tenere aperto questo microcosmo ogni giorno, altrimenti avremo solo debiti. Lei pensa che questo modello possa essere applicato in Italia, tra squadre più piccole?
È un tema complesso, io ci metto un aspetto che è la cultura italiana, che poi incide su quello che è il business plan di una struttura come può essere Amsterdam Arena trasportata in Italia. Guarda, molto semplicemente ci vuole coraggio come in tutte le cose, ci vuole il coraggio di dire alla parte sportiva che per stare in piedi dobbiamo giocare una partita di rugby durante il campionato, ci vuole coraggio nel dover assegnare degli slot agli eventi commerciali, che a volte possono anche interferire con l'attività sportiva. Noi purtroppo abbiamo una cultura italiana per la quale affidiamo al risultato sportivo il giudizio per determinare se uno è bravo o meno bravo: uno può perdere milioni di euro e vincere, ed essere considerato bravissimo, mentre quello che magari si salva ma tiene sempre il bilancio perfettamente in equilibrio, allora non va bene. Se cambiamo la nostra cultura – qualora fossimo disposti – si potrebbe cominciare a ragionarci su, ma forse al momento non siamo pronti per questo. Però arriveremo al punto in cui sarà necessario, io vorrei arrivarci prima di renderla necessaria questa cosa, quindi dobbiamo lavorare su questo punto, e devo dire che oggi il Catanzaro è un'isola felice. Questo è un tema su cui le società di calcio devono lavorare. Ciò non vuol dire che il debito sia un qualcosa di negativo naturalmente, no? Perché tantissime società lavorano con un proprio debito, il tema è capire perché si fa e a cosa ti ha portato,perché se parliamo di un debito in infrastrutture e miglioramenti del processo sportivo, naturalmente sono investimenti che definirei buoni, se invece quel debito è generato per pagare l'ordinario è debito cattivo. Il Catanzaro che è gestito come un'azienda, si fa il passo giusto per poter sviluppare dei tasselli poco a poco all'interno di un mosaico più ampio, cosa porterà questo mosaico è difficile, perché giochiamo una competizione molto ardua, in cui altre diciannove squadre lottano per un obiettivo. Noi dobbiamo seguire la linea dettata dalla proprietà, quindi ricerca della sostenibilità, ricerca delle infrastrutture e mettendoci dentro anche i settori giovanili.
Qual è il valore sociale dei settori giovanili?
Il settore giovanile di un club è il primo ambito sociale insieme alla scuola, in cui i bambini cominciano a giocare a calcio 6/7 anni, cioè quando iniziano ad andare a scuola. Sport e istruzione sono due aspetti della loro vita sociale molto forti, in cui si annulla ogni differenza, soprattutto nello sport, perché quando si entra in un campo da calcio, ognuno è uguale a quello che gli sta è vicino, senza nessuna differenza se non il valore e la capacita del ragazzo.
Il settore giovanile ha anche un valore economico, perché i talenti che arrivano da lì, hanno un moltiplicatore di valore elevato e vendere un calciatore cresciuto in casa, per dire, a 5 milioni di euro, permette ad un club di serie B di rifare la curva.
Hai capito, ma forse la visione e la programmazione oggi non trovano spazio in molte realtà; guarda la sessione di mercato invernale appena finita, ci sono squadre che hanno cambiato tantissimo. La paura ti porta a cambiare quello che è il tuo progetto sportivo dopo sei mesi, è possibile? Dobbiamo ragionarci su perché siamo in un sistema troppo veloce. Accelerazione verso il risultato a tutti i costi, porta degli oneri eccessivi, alcune volte bisogna tenere la barra dritta in una nave in tempesta. Ormai la nostra società è abituata a raggiungere a tutti i costi la vittoria, questo cosa vuol dire? In un campionato di serie B ci sono tre squadre che vincono e diciassette “perdono”, tra queste, 4 retrocedono e perdono ancora di più, ma io posso pensare che solo tre su venti progetti sono progetti vincenti? Siamo troppo orientati verso questi concetti del successo e della vittoria a tutti I costi.
C'era una conferenza di Allegri di un paio d'anni fa, e quindi si vede che avete lavorato insieme, che diceva proprio questo: alla fine lo scudetto lo vince uno solo, tutti gli altri no, e quindi vincere non è una cosa ordinaria è un fatto straordinario.
Quello è il tema sul quale bisogna ragionare. Probabilmente anche le società devono comunicare di più, verso i propri tifosi, spiegargli quali sono gli obiettivi e in che modo vuole raggiungerli. Questo secondo me è un tema sul quale ci si deve ragionare assolutamente perché è giusto che i propri stakeholder, i propri tifosi, siano parte di questo progetto, di questa intenzione e di questa valutazione, perché ci vuole trasparenza verso di loro. Catanzaro è una realtà con una base di tifosi fantastica, basta vedere quanti sono in trasferta, ma aldilà del numero, amo vedere persone con passione, equilibrio e interesse solo per la propria squadra. Sostenere senza denigrare la parte opposta, questo è l'obiettivo che noi dobbiamo raggiungere nel calcio.
Arrivati a questo punto della stagione l'obiettivo sportivo qual è? Perché allo stadio veramente la parola “promozione” quest’anno non sembra un tabù.
Io dico sempre che l'obiettivo per il Catanzaro oggi deve essere consolidare la categoria. Se vai a vedere le squadre in serie A, per un motivo o per l'altro hanno comunque completato un processo sportivo, fatto sicuramente di infrastrutture, centro sportivo ecc. Oggi noi ce la giochiamo alla pari con tutte in B, anzi molto spesso esprimiamo un buon gioco, e questo fa piacere al pubblico, io credo che oggi il Catanzaro debba completare un processo che deve portare naturalmente ad un obiettivo base,cioè il consolidamento della categoria, questo è fondamentale.
Che consiglio vuole dare ai ragazzi che vogliono lavorare nel mondo dello sport?
La formazione prima di tutto. Ho lavorato con tanti ragazzi nelle mie prime esperienze, cercando sempre di formare le persone perché quello è il vero valore che lasci all'interno di un'azienda. Fai crescere l'organizzazione, fai crescere il livello. Quindi sicuramente il tema della formazione, imparare il più possibile alcune volte sacrificarsi però per imparare, formarsi, e stare vicino a chi ha grande esperienza. Il secondo consiglio è: conoscere persone, creare un proprio network è fondamentale, perché poi si possono creare delle sinergie,e il mondo dello sport offre tantissime possibilità di creare sinergia con il mondo imprenditoriale. Bisogna perderci del tempo, bisogna magari anche creare delle figure nei club che lavorino in questo al di là del marketing, del commerciale di un'azienda, anche sotto il profilo sociale e ci sono molti aspetti che passano in secondo piano.
Un'ultima domanda, lei come si sta trovando in questi primi mesi a Catanzaro a livello personale e ambientale?
Molto bene, devo dire che per me Catanzaro è una sorpresa. Ho sempre lavorato al Nord e quando mi sono trasferito qui a Catanzaro, ho potuto avere il piacere di scoprire un luogo in cui c’è una qualità della vita incredibile. Inoltre sento un'aria frizzantre perché ci sono moti interessi nello sviluppo di infrastrutture , che sono un aspetto fondamentale. Un fattore sul quale bisogna lavorare è quello della capacità di fare network, credo che le persone debbano impegnarsi di più in questo, per essere un punto di riferimento del Sud Italia. Poi la Calabria è una terra fantastica sotto il profilo del paesaggistico, un mare meraviglioso, la cucina, le persone poi ti mettono a proprio agio, e quindi ne sono positivamente colpito.
.
Comments