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Sport pornification vol. 1 - I social

Ci sono alcuni fenomeni umani definiti universali,  sono quelli che possono essere riconosciuti, compresi e apprezzati da chiunque a prescindere da nazionalità, lingua, e condizione personale. Una sinfonia di Mozart è riconosciuta e apprezzata dalla Scandinavia al Pamir, così come una pizza calda fumante fatta a regola d’arte, oppure il gol di Maradona all’Inghilterra (uno qualsiasi dei due), ma oltre a cibo, musica e sport c’è un altro fenomeno umano veramente universale, tipo questo:




No, non sono i cupcake, non vi fa venire nulla in mente? Sì come no, e ora?



Mostrando solamente due immagini visivamente simili all’originale tutti hanno capito di cosa si sta parlando, dimostrando che anche il porno esprime un linguaggio universale, ovviamente, perché come il cibo deriva da un azione comune a tutti gli esseri umani.  Ora che siamo sincronizzati, possiamo andare avanti e provare a definire sport pornification, che non vuol dire sessualizzazione.


Sport pornification è il processo di trasformazione estetica e sostanziale, dell’industria dello sport, attraverso una produzione e fruizione dell’evento sportivo e di tutto ciò che ne deriva (atleti, broadcasting, sponsor, social, stadi, eventi ecc) sempre più orientata a criteri caratteristici dell’industria del porno.


Possiamo semplificare le parole di Carmelo Bene sull’argomento, che definiva la pornografia come superamento del desiderio dell’azione che porta all’atto amoroso, quindi superamento dell’eros e del corteggiamento, per arrivare ad un desiderio di sé stesso in quanto tale, ovvero all’atto sessuale in sé che non vuole altro che sé stesso. Infatti se guardo il video da cui derivano le immagini di cui sopra, non desidero necessariamente corteggiare e vivere una storia d’amore con la protagonista (Piper Perry, ndr); allo stesso modo se guardo un video di presentazione dell’ultimo acquisto della mia squadra del cuore,  e poi spulcio i video  “goal and skills” su Youtube, non mi viene necessariamente voglia di prendere gli scarpini e allenarmi per provare ad emularlo, ma lo guardo per compiacermi, godere di quei gesti e magari vederne altri che mi daranno sensazioni altrettanto piacevoli. E in effetti, una parte preponderante della pornificazione dello sport è proprio la continua asfissiante proliferazione di contenuti del genere su tutti i social network, e una volta che ci si è soffermati a guardarne uno, l’algoritmo te ne farà vedere altri, in un circolo vizioso e nauseabondo di orge fatte di colpi di tacco, ruletas,  e qualche gol in rovesciata di un torneo amatoriale di calcetto in provincia di Treviso (amateur, ndr)

 

I social

La componente vouyerstica è un fatto di primaria importanza, che abbiamo visto crescere esponenzialmente negli ultimi 15 anni con i social, le piattaforme di condivisione e streaming video. Il successo debordante di YouTube, Twitch e Tiktok degli ultimi 8/9 anni è in gran parte dato dagli stream di gamers che trasmettono le loro sessioni di gioco online, seguiti in diretta  e ondemand da centinaia di milioni di utenti. Persone che spendono giornate intere non a giocare, ma a guardare qualcuno farlo, trarne piacere, divertirsi e godere di una bella giocata con la quale è stata vinta la partita. E in fondo guardare qualcuno giocare a COD per due ore, o guardare un partita di campionato, non rappresenta lo stesso tipo di intrattenimento? E il porno cos’è se non la punta della piramide dell’industria dell’intrattenimento? Di fatto è il settore che da decenni decide quale supporto fisico e digitale sfrutterà tutta l’industria, dal cinema alla musica allo sport: è accaduto quando ci si trovò al bivio tra DVDHD e Blu-Ray, poi nella transizione tra HD e 4K, con l’abbandono del 3D,  per accelerare verso una fruizione di contenuti in qualità sempre maggiore, e sta succedendo oggi sui vari formati per la realtà virtuale.

Da qualche anno Andrea Agnelli paventa una trasformazione radicale del calcio che deve avvenire tenendo conto di questi profondi cambiamenti nel mondo dello sport, perché i ragazzi guardano le partite in modo diverso, in multi devices, magari chattando o scommettendo sul telefono mentre la partita scorre sulla tv, sempre che non preferiscano gli highlights ovviamente: salto la parte iniziale del video in cui parlano e basta, per scorrere velocemente alle scene che mi interessano, non è un caso che la barra di scorrimento di DAZN e Pornhub siano identiche, con dei puntini sui momenti salienti. Se consideriamo quest’ultima come la piattaforma esplicitamente pornografica più grande del web,  che quindi ha peculiarità proprie che si basano sul tabù del sesso, per il resto non ha nulla di diverso da Twitch e Youtube, che in base alla definizione data, possiamo considerare come le maggiori piattaforme pornografiche al mondo. D’altro canto Instagram e Tiktok sono probabilmente i più grandi responsabili della sport pornification, e soprattutto col calcio è stato replicato e migliorato il lavoro fatto con il Food and Beverage, dove partendo dall’hashtag #foodporn, hanno contribuito a cambiare radicalmente tutta l’industria della ristorazione a livello globale. Quanti di noi 10 anni fa decidevano dove andare a cena fuori in base ai video su instagram? Quanti ristoranti sono diventati veri e propri luoghi di culto con file interminabili, solo grazie a un paio di video virali sui social? A parte Fiammetta Fadda, chi si curava dei critici gastronomici (oggi food blogger)?

Il calcio più di tutti ha cavalcato quest’onda, sfruttando la tecnologia e le potenzialità di questo media, svecchiandosi pesantemente, dapprima usandolo come canale ulteriore per le proprie comunicazioni ufficiali, e poco altro. Poi assistendo ad una cura estetica crescente in maniera esponenziale, facendo nascere e sviluppare schiere di nuove figure professionali in tutta l’industria, dai club agli atleti, alle federazioni. Non è un caso se oggi tutti i calciatori dei 5 maggiori campionati europei a parte Rodri, hanno dei profili social sui quali veicolano la propria immagine, composta da vari elementi: il club di appartenenza, lo sponsor tecnico, altri sponsor personali e vita privata. Molti di loro hanno dei social media manager professionisti, se non intere agenzie, che ne curano il profilo, scattano foto professionali, creano reels e contenuti di ogni genere, generando engagement e ricavi da questa attività, esattamente come fa Danika Mori, per citarne una.  Notoriamente il profilo di CR7 viaggia per i 650 milioni di followers su Instagram, circa il 9% della popolazione totale presente sul pianeta contando anche neonati e ultracentenari, contribuendo a renderlo una figura mainstream trasversale a livello globale anche più di Michael Jordan, una roba mai vista, che non sarebbe mai potuta accadere senza i social. Cristiano ha il merito se vogliamo, di aver compiuto il percorso iniziato da Beckham, con la differenza che se per la coppia Beckham- Adams, bisognava aspettare lo shooting venduto a peso d’oro al tabloid di turno, per poter vedere la coppia insieme, o con il figlio appena nato, oggi è lo stesso Cristiano a mostrarci i suoi bambini con cadenza praticamente quotidiana, mentre giocano  felici nell’hangar che hanno come salone. Tutto questo ha una valenza profonda per tifosi e atleti, e se i primi sono i consumatori del porno sport, godendo fisicamente della visione illimitata delle prodezze di vecchi campioni nei reels di calcio vintage (contribuendo al business delle classic football shirts), o di calcio romantico,  pseudo match analyst, coach improvvisati, Diletta Leotta ecc. ecc. Gli atleti ne sono soggetto e anche oggetto, portando questa bivalenza anche su altri livelli, infatti se da un lato i continui post sulla loro vita privata li avvicinano al pubblico, dall’altro la fama crescente misurabile nel numero di follower, li allontana in maniera miserabile.

 

Nei prossimi capitoli:

  • Gli atleti

  • Broadcast

  • Sponsor, Business

  • Stadi ed eventi


 
 
 

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